Lo scorso anno abbiamo dedicato alle beatitudini (nella versione lucana) due commenti su queste stesse pagine. Possiamo così soffermarci questa volta sul “contenitore” delle beatitudini nella versione di Matteo, ovvero il discorso della montagna. Tale lungo discorso – che prende tre capitoli del vangelo, dal quinto al settimo – è uno dei cinque discorsi che articolano l’intero testo matteano. Leggo la seguente spiegazione tratta da una nota in una edizione della Bibbia in commercio: “Il Vangelo di Matteo riunisce in un primo grande discorso gli insegnamenti di Gesù, presentando così un catechismo di iniziazione cristiana, opposto all’ideale religioso giudaico. C’era la legge, cioè l’insieme delle esigenze morali, sociali, religiose, cultuali, personali e collettive che valeva per tutto il popolo di Dio: Mosè l’aveva ricevuta sul Sinai. D’ora in poi c’è la nuova legge che Gesù dà sulla montagna come su un nuovo Sinai. Non toglie nulla alla legge di Mosè, ma va alla radice dei comportamenti umani”.
Trovo che una impostazione di tal genere del discorso della montagna sia inesatta e forse anche pericolosa. Vediamo insieme i problemi. Prima questione. Gesù si oppone all’ideale religioso giudaico? No: Gesù è un ebreo, e la religione da cui viene è proprio il giudaismo. Anzi, da lì parte, da quei valori e da quegli ideali, per radicalizzarli e coglierne il senso, il cuore: il “ma io vi dico” che troviamo nel discorso della montagna non cancella quanto “è stato detto”, è la spiegazione di quanto è stato scritto nella Legge. Se qualcosa rimprovera Gesù al suo popolo, è l’osservanza formale della religione giudaica: “Nel Nuovo Testamento i rimproveri rivolti agli ebrei non sono più frequenti né più virulenti delle accuse espresse contro di essi nella Legge e nei Profeti. Non devono quindi servire da base all’antigiudaismo” (Pontificia Commissione Biblica).
Seconda questione: “c’era la legge, d’ora in poi c’è la nuova legge”? Dire che in Matteo Gesù proclama una nuova legge è un grossolano errore, perché non coglie la prospettiva del Primo vangelo: “Nessun problema è più centrale nel Vangelo di Matteo del rapporto tra Gesù e la legge. La questione fondamentale di come Gesù, il Messia promesso, si rapporta alla Torà divina, il patto antico, pervade tutto il vangelo. La critica moderna ha individuato qui, giustamente, la testimonianza specifica di Matteo, che è diversa da quella di Marco e di Paolo. Secondo quanto dice Matteo, la funzione più importante di Gesù in quanto Messia d’Israele è proprio quella di interpretare la legge. La legge di Mosè non è una misura temporanea, ora sostituita dal regno dei cieli, ma rappresenta la volontà eterna di Dio. L’ingresso nel regno, che è la vera giustizia, è tuttora dipendente dall’osservanza della legge. La vita senza legge (anomia) è la quintessenza del male. Gesù è venuto a cancellare questa anomia. Egli non cerca una nuova legge (lex nova), ma porta l’antica a compimento, realizzando la volontà di Dio” (Childs).
In altre parole, Matteo è molto attento a non contrapporre un’altra alleanza a quella antica, valida ancora: Matteo, anzi, non conosce e non usa nemmeno l’espressione “nuova alleanza”, diversamente da Luca e da Paolo. Gesù, dice Matteo, non è venuto ad abolire la Legge o i Profeti, ma per dare compimento: “non passerà dalla legge neppure un yod” (Mt 5,18). Perché abbiamo dovuto ritoccare queste opinioni? Per un pregiudizio che circola spesso anche tra i cristiani, secondo il quale Gesù sarebbe venuto a cancellare il giudaismo: “L’equivoco di parte cristiana sulla natura della legge e sul suo ruolo nel giudaismo si è perpetuato fino ad oggi negli studi e nella teologia neotestamentari, così che il giudaismo rabbinico viene falsamente considerato tardivo, decadente o legalistico. Sono ancora molti oggi quei cristiani la cui comprensione della Legge e dei precetti si compendia nel duro giudizio paolino sulla maledizione della Legge (Gal 3,13)” (Saldarini).
Ma questo è solo un aspetto del problema: Matteo ce ne presenta un altro! L’incomprensione, a mio avviso, viene da lontano, da quell’antigiudaismo (e dalla teologia della sostituzione) che spesso ha preso forma nella Chiesa, ma viene anche – più recentemente – da ragioni teologiche legate alla Riforma protestante. Scrive il Card. Ratzinger: “Lutero, nel contesto dell’umanesimo e della sua nuova coscienza storica, soprattutto però nel contesto della sua dottrina della giustificazione, ha sviluppato una nuova formulazione del rapporto fra le due parti della Bibbia cristiana, che non si fonda più sull’armonia interiore di Antico e Nuovo Testamento, ma sulla sua antitesi sostanzialmente dialettica dal punto di vista storico-salvifico ed esistenziale di legge e vangelo. Bultmann ha espresso in modo moderno questo approccio di fondo con la formula, secondo cui l’Antico Testamento si sarebbe adempiuto in Cristo nel suo fallimento”.
Anche alcuni esegeti cattolici si sono lasciati influenzare da questa posizione, dimenticando che la Legge ha invece un significato positivo: proprio i 613 precetti, calcolati così dai rabbini (365, come i giorni dell’anno, sono precetti negativi, mentre 248, come le membra del corpo, sono positivi, per dire che la Legge va vissuta ogni giorno e in ogni situazione), non sono altro che accorgimenti con i quali si vuole imitare la santità di Dio, secondo quanto scritto in Lv 19,2: “Voi sarete santi perché Io, il Signore vostro Dio, sono santo”. Detto in altro modo, “la Legge è la manifestazione della volontà di Dio e quindi è il massimo dono che Dio ha fatto al Suo popolo” (Cavalletti). Gesù lo sapeva bene, e l’ha detto nel discorso della montagna. Non mettiamogli sulla bocca noi quello che non ha mai pensato, e cioè che “c’era la legge, d’ora in poi c’è il vangelo”: Matteo ‘ che apparteneva al popolo dell’alleanza ‘ non ha mai visto una soluzione di continuità così pericolosa nella storia della salvezza, e la nostra fatica allora sarà quella di trovare la novità di Gesù senza negargli il suo passato.