Che cosa rimarrà dell’assemblea diocesana che la Chiesa di Città di Castello ha celebrato nei giorni 26 e 27 ottobre? Se ripercorriamo con attenzione i contenuti proposti durante le due sere non è affatto facile dare una risposta. Il primo dato cui far riferimento è la partecipazione delle persone. In tanti, quest’anno, hanno partecipato per intero alla due giorni, mentre in passato era frequente notare un calo di presenti tra il primo ed il secondo giorno. Un altro dato positivo è rappresentato dal lavoro svolto dalle zone pastorali che hanno prodotto un lavoro scritto che servirà al Vescovo per la redazione del documento finale che consegnerà in occasione della festa dei santi patroni. Dobbiamo ricordare il clima nuovo che si è respirato: un clima sereno di ricerca ha fatto sì che nessuno abbia voluto imporre agli altri le proprie soluzioni ai problemi che con realismo sono stati sviscerati. Rimarranno le sollecitazioni di padre Francesco Pierli che ha ricordato con insistenza la necessità di far emergere che la Chiesa è popolo di Dio; in essa il pluralismo è parte integrante della cattolicità. Pluralismo significa anzitutto capacità di lavorare con tutti. Per formarci teologicamente bene è necessario incontrarsi anche con i non cristiani. Anche le tante parrocchie della diocesi di Città di Castello sono segno del pluralismo che interpella e che chiede comunione di tutte le comunità sotto la guida del Vescovo, anziché quel campanilismo tra le une e le altre che qualche volta può esserci. Anche il pluralismo ministeriale dei laici va rispettato e trattato come un dono di Dio alla sua Chiesa. Il ministero dei laici non si fonda sulla necessità di fare un favore al parroco, ma sul comune sacerdozio, vocazione che scaturisce dal dono che Dio ha fatto a tutti i battezzati. Questo ministero laicale richiede spiritualità, competenza, collaborazione ed anche aiuti finanziari. Non si deve dimenticare che le parrocchie stanno subendo una trasformazione. Tutti se ne rendono conto. Nasce un’esigenza: quella di mettersi assieme. Mettersi assieme, in una parrocchia o in una zona pastorale, vuol dire prima di tutto ascoltarsi e conoscersi. Lavoro facile a dirsi, ma difficile a farsi. Lavoro però necessario per poter discernere, valutare e prendere decisioni. Questo stile permetterà di gestire anche il processo di trasformazione delle comunità parrocchiali, che altrimenti sarà semplicemente subito. Anche a proposito della missionarietà possono essere ripetuti gli stessi concetti. Essere un popolo che cammina come Chiesa è la caratteristica peculiare dei cristiani. La riscoperta di essere popolo convocato dal Signore deve essere il propulsore che ci fa avvicinare a tutti. La sfida della missione sta tutta qui: essere capaci di avvicinarsi e di testimoniare che stare insieme è bello. È tutta la comunità cristiana – e non solo i preti – che deve diventare missionaria. Tutti possono prendere l’iniziativa, dato che tutti sono parte del popolo di Dio. Saremo capaci di far avvicinare gli altri a Cristo nella misura in cui sapremo vivere autentiche relazioni interpersonali, anche con i “lontani”? La vocazione alla missione prima di tutto deve essere fondata sull’ascolto serio della Parola di Dio che deve essere al centro di ogni attività missionaria, a partire dal catechismo ai fanciulli. La missione passa anche attraverso la testimonianza della promozione umana. I cristiani devono mostrare al mondo che hanno un’enorme “riserva di solidarietà”. Anche la solidarietà è parte fondamentale della missione. La missione prende forza dall’eucaristia; e questa rimanda alla necessità di costruire una comunità, la Chiesa locale, caratterizzata da relazioni e rapporti.
Chiesa nel segno del pluralismo
Assemblea diocesana affollata. Presentato da alcune zone pastorali il lavoro svolto: confluirà in un documento finale che il Vescovo consegnerà durante la festa dei patroni
AUTORE:
Francesco Mariucci