Il vero pane che Gesù dà

Commento alla liturgia della Domenica “FIRMATO” Famiglia XVIII Domenica tempo ordinario - anno B

La folla attraversa il lago in direzione di Cafàrnao, alla ricerca di Gesù. Il tema della ricerca è costante nei Vangeli: si tratta spesso di una ricerca iniziale, inconsapevole, non riflessa, che scaturisce da esigenze primarie e immediate, come il bisogno di pane.

Anche noi spesso cerchiamo Gesù per il miracolo, per sentirci appagati, per vedere colmate le nostre povertà. Gesù non respinge questa esigenza elementare; ma è altro il dono che egli vuole portarci. Come spesso anche noi, la folla non ha ancora compreso che il miracolo non è un prodigio che mira a sorprendere, un modo per risolvere a buon mercato i problemi quotidiani, una soddisfazione materiale o un atto di potenza; il miracolo è segno, indica al di là di sé una verità più profonda, ed è quella che bisogna cercare.

La folla non ha visto il segno, si è fermata al pane: da qui parte Gesù per la grande catechesi eucaristica, per rivelare quale sia il pane vero che dà la vita. Non è “vedere” il segno a generare la fede, piuttosto è credere nella parola di Gesù che consente di “vedere” nel modo giusto il segno e di accoglierlo nel suo significato più vero e fecondo per la nostra vita.

Quanto accade nel racconto di Giovanni è peraltro ciò che si ripete in ogni celebrazione eucaristica, nella quale siamo invitati ad alimentare la nostra fede personale e la nostra vita comunitaria all’ unica mensa della Parola e del Corpo di Cristo, secondo la suggestiva espressione del Vaticano II (cfr. DV 21).

“Il pane della vita sono io”, afferma con decisione Gesù; “chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!”. Andare a Gesù, entrare in comunione con lui attraverso l’ unica opera che Dio ci chiede di compiere: la fede, significa per noi assumere la sua logica, o meglio lasciarci introdurre in quel movimento di consegna che Gesù vive: donato dal Padre al fine di essere dono per il mondo.

La vita che, facendosi pane, Gesù ci comunica è la vita eterna. Una vita che dura, una vita che rimane, perché condivide la qualità stessa della vita di Dio. È il suo modo di essere, tutto attraversato e contrassegnato dalla logica del dono di sé: il dono della vita che il Padre fa al Figlio, che il Figlio accoglie e non disperde per donarla a sua volta agli uomini.

Il “fate questo in memoria di me” che ripetiamo in ogni eucaristia assume in tal modo il suo spessore più vero. Ci nutriamo di questo pane di vita, che è Gesù, per divenire sua memoria vivente e operante. Per saziarci di questo pane non dobbiamo fare molte opere o impegnare sforzi eccessivi: una sola è l’opera da compiere: credere in lui, Gesù, l’Inviato del Padre; come uno solo è il comandamento nuovo da vivere, l’amore.

La prospettiva di Giovanni è unitaria e unificante: c’è un solo pane di vita che ci sazia, il Signore Gesù; per entrare in comunione con lui è necessaria una sola opera, credere in lui, consentendo così alla vita che ci comunica di portare il suo unico frutto in noi, che è l’amore. In tal modo il dono che riceviamo non perisce, trattenendolo per noi stessi, ma rimane, come dono condiviso nella carità.

Lasciamo ora che Gesù parli a noi oggi. Il Signore ci pone innanzitutto la stessa domanda che pose alla folla: perché mi cercate? Tante volte ci rivolgiamo a lui con la lista dei nostri bisogni materiali: che ci preservi dalle malattie e dalla morte il più a lungo possibile; che faccia trovare un posto di lavoro a quel figlio o a quel nipote; che ci risolva i problemi di relazione con i capi o i colleghi in ufficio… Gesù invece si accredita come l’unico capace di saziare quella fame di felicità piena e duratura che ci portiamo dentro, come un marchio di fabbrica, e che viene dallo stesso Dio che ci ha creato.

Per questo l’uomo è sempre affamato e assetato di Infinito. Se noi ci illudiamo che la fame e la sete di felicità ci si plachi dentro sfamandoci di cose e di beni, se ci inventiamo un Cristo con la bacchetta magica per realizzare i nostri sogni, se lo riduciamo a un “tappabuchi” per i nostri cento bisogni, se lo scambiamo per un distributore automatico di grazie per noi e di disgrazie per i nostri nemici… allora Gesù non può darci l’unica “manna” che ci fa approdare alla vera terra promessa del più profondo desiderio umano, il pane della sua Parola e del suo Corpo.

Gesù non può essere il nostro pane fino a quando noi cerchiamo altri “pani”. Gesù non ci inganna, ma a una condizione: che noi non ci inganniamo su di lui. Gesù non può essere il Signore della nostra vita, finché il nostro Dio è il nostro “ io ”.

 

AUTORE: Paola Paolucci Maurizio Leonardi