Da San Facondino a San Guido: arte, acqua e natura

Se da Fossato di Vico, percorrendo la Flaminia in direzione sud, si oltrepassa il cimitero di Gualdo Tadino, subito si scorge un’alta torre che, nel suo biancore, si staglia contro i brulli costoni rocciosi che rapidamente s’inerpicano verso l’Appennino. Ma non è una torre: è il campanile della chiesa di san Facondino (nella foto), la più antica costruzione ecclesiastica del Comune di Gualdo Tadino ed una delle più vetuste dell’intera diocesi. La costruzione, risalente al primo decennio dell’XI sec., fu poi ampliata più volte in epoche successive, ed appare oggi, nella sua pulizia, quasi disadorna. Sono però visibili alcuni frammenti di cicli di affreschi, opera di Matteo da Gualdo e della sua scuola (sec. XV); a destra, inoltre, oggi si trova una copia del pregevolissimo Polittico di San Facondino, opera di Ottaviano Nelli (prima metà del XV sec.), oggi conservato presso la Pinacoteca della Rocca Flea (se potete, visitatela al ritorno). Pievania potentissima e ricchissima, dal 1248 al 1250, la chiesa fu addirittura sede vescovile e probabilmente a quell’epoca furono eseguiti vari lavori di ampliamento che sono ricordati da una lapide di pietra, oggi murata poco prima dell’abside, che reca la data del 1250 (non perdetela!). Ma l’emozione più grande della visita la dà l’ascesa della torre campanaria, risalente, nella parte bassa al XI sec., e in quella alta al secolo successivo; la sua pendenza la fa simile ad una piccola “torre di Pisa”. Giunti fino alla sommità, si osservano le tre antichissime campane, due delle quali fuse fra il 1285 e il 1288: è davvero emozionante toccare con mano manufatti di oltre 700 anni, ancora perfettamente funzionanti! E che panorama! Una volta ridiscesi, il consiglio è quello di salire verso la frazione Casale (dove nacque il patrono di Gualdo, il beato Angelo) e da qui al santuario della Madonna del Divino Amore. A poca distanza da lì, trovate, in un avvallamento, il santuario del Beato Angelo, curiosa costruzione basso medievale, che la tradizione vuole frequentata dall’eremita gualdese. Qui già l’aria cambia: si ode il fragore di una cascata in una forra sottostante. Entrate nel regno delle acque dell’Appennino. Se dal santuario, tramite una strada sterrata sulla sinistra – percorribile anche in auto – cominciate a salire, dopo circa 1 km trovate le sorgenti di Capodacqua. L’itinerario che vi consigliamo prevede, a questo punto, un’altra tappa di circa 700 m, in lieve salita, in mezzo al bosco, sempre seguendo la strada più grande. Si giunge così alla meravigliosa pineta di San Guido dove, oltre al panorama e all’aria fragrante di conifere, ginepro e santoreggia, si può degustare qualche specialità gastronomica presso il ristorante San Guido. Vi consigliamo la celebre crescia gualdese, o con salumi o con erbe aromatiche, cotta sulla pietra arroventata. Attorno alla baita-ristorante ci sono due campi da tennis, un bocciodromo e tanto spazio. Se non vi bastasse, a 5 km c’è Valsorda (m 1020 s.l.m): 180 ettari di prati, due laghi, un camping e un buon ristorante.

AUTORE: Pierluigi Gioia