Lo Statuto regionale si deve correggere

Era stato detto da più parti che lo Statuto, così come era stato scritto, per alcuni suoi articoli, poteva essere incostituzionale. L’ultima parola non è ancora detta e si potrebbe andare avanti rimanendo nelle proprie posizioni in attesa della definitiva delibera della Corte Costituzionale, ponendosi in posizione di muro contro muro, se dovesse prevalere l’opinione di chi ritiene che le osservazioni del Governo siano di carattere politico più che di costituzionalità o meno. Questo percorso però da altri consiglieri regionali è considerato imprudente in quanto richiederebbe tempi prolungati che rischiano di far affrontare le prossime elezioni regionali con le vecchie regole, per cui sarebbe preferibile accettare come buoni i rilievi fatti dal Governo e correre ai ripari modificando gli articoli incriminati. Le osservazioni del Consiglio dei ministri sono quattro. Tre (l’art. 39 comma 2, art. 40, art. 66, comma 1 e 2, art. 82) attengono competenze che la Regione si è assunta in contrasto, a parere del Governo, con precisi articoli della Costituzione italiana, e sembrano facilmente correggibili con l’aiuto di maestri del diritto che siano all’altezza del compito. Resta la prima, a nostro avviso la più importante e decisiva correzione da fare, ed è quella che riguarda l’articolo 9, comma 2, in cui si afferma che la regione “tutela forme di convivenza” equiparandole di fatto (e di diritto) alla famiglia fondata sul matrimonio. I consiglieri regionali, o almeno alcuni di loro, soprattutto dopo la correzione puramente formale fatta in seconda lettura, hanno pensato che tale equiparazione non vi fosse. Ma non è dello stesso avviso il Governo. L’equiparazione c’era e c’è tuttora anche se della famiglia si parla nel primo comma dell’articolo e delle altre forme di convivenza nel secondo. A questo punto non resta altro da fare: o sacrificare tutto lo Statuto sull’altare ideologico della battaglia per le coppie di fatto, che non produce nessun beneficio concreto alla comunità umbra, oppure salvare lo Statuto e il lavoro di tre anni, eliminando il riferimento alle libere forme di convivenza. Con questa seconda opzione non si discrimina nessuno, né si pone un freno alla libertà dei cittadini. Semplicemente si chiamano le cose con il loro nome. Per la tutela delle libere convivenze la legislazione italiana prevede forme di garanzia e di tutela che possono anche essere ampliate con leggi appropriate qualora vi siano esigenze socialmente rilevanti in questo senso. Ciò che preme ad una grande massa di cittadini, in primo piano ai cattolici (semplici fedeli, religiosi, parroci e vescovi) come è stato detto a più riprese dalle colonne di questo settimanale, è la tutela della famiglia, non solo perché questo lo esige la Costituzione italiana, ma perché questo va nel senso di ciò che noi pensiamo sia un bene fondamentale della società e un dato della civiltà occidentale cristiana e della maggior parte delle culture e civiltà mondiali. Per questo motivo noi non siamo d’accordo con coloro che propongono in Italia (Fassino) il cosiddetto Pacs (Patto di solidarietà tra coppie omosessuali e eterosessuali).

AUTORE: Elio Bromuri