Il museo della pesca di San Feliciano è un allestimento che ricostruisce la tradizione della principale risorsa economica della zona: la pesca. Sono presenti reperti e una esposizione documentaria basata su ricerche linguistiche, memoria orale, statuti cittadini, opere letterarie dell’epoca come “Trasimenide” del ‘500, testimonianza di Matteo dall’Isola Maggiore. La struttura comprende anche sale informatico-multimediali e plastici per ricostruire le tecniche di pesca. La pesca con le arelle: nei canneti, prevede l’utilizzo di un percorso obbligato in canne palustri, che guida il pesce in trappole a forma di reti coniche, i tofarelli; pesca con i tori: in lago aperto, con la preparazione di mucchi di fascine (tori) di quercia in acqua, contornati da pali conficcati nel suolo e disposti in cerchio, e dalla rete. Sono preparati in estate, e in inverno si recupera il pesce; pesca con i porti: impianti fissi spondali. Struttura a pettine con corridoi di fascine alternati a corridoi d’acqua, che dragano i pesci verso il lago aperto, per farli poi entrare in reti disposte vicino a una seconda serie di corridoi di fascine; giacchio: è il simbolo del Trasimeno, una rete da lancio conica quasi troncata al vertice. “Il medioevo e l’età moderna costituirono il periodo d’oro dell’attività – spiega Ermanno Gambino dell’Alli, (Atlante linguistico dei laghi italiani). La pesca diventa una grande impresa collettiva, e di ampio rilievo economico, sfruttata, tra il ‘300 e il 400, anche da Perugia. Nel’600, la pesca con i tori è abbandonata, sostituita dai porti. Le arelle sono usate fino al 1917. Oggi i pescatori professionali sono pochissimi e praticano l’attività solo individualmente o in coppia con reti”. Altro esempio di catalogazione è il “Centro di documentazione sulle acque interne italiane”, con l’annesso “Museo delle barche”. Sono presenti barche tipiche del Trasimeno e dei laghi di Piediluco (Tr), di Padule di Fucecchio (Fi) e di Cabras (Or): il barchetto del gorro del Trasimeno, utilizzato fino agli anni ’30; due barche da pesca tradizionali del Trasimeno, usate fino agli anni ’50 e ’60; i monossili, imbarcazioni costituite da tronchi di quercia scavati. Barche tradizionali di Fucecchio e Piediluco e un modellino di fassoi, barca arcaica in erbe palustri dello stagno di Cabras. “Le imbarcazioni da pesca – spiega Gambino – venivano realizzate a Castel Rigone, zona ricca di boschi. La pesca, o l’utilizzo come forza motrice, rimarranno per secoli il prevalente impiego delle barche. Lo sfruttamento turistico, all’inizio in mano a privati come i marchesi Guglielmi e la famiglia Cesaroni, vedeva la luce nell’800. Venivano utilizzati battelli trasportati appositamente nella zona: soggiorni estivi alle isole, da parte di nobili romani e fiorentini, erano in voga all’epoca. Il ‘900 è il secolo della navigazione pubblica, mentre le imbarcazioni tradizionali cadevano in disuso. Dagli anni ’60 sono realizzate solo in vetroresina”.
Trasimeno, tradizione peschereccia tra passato e futuro
AUTORE:
Tecla Bolognini