Si fugge per fame, per scappare da guerre e persecuzioni. Ma si fugge anche per poter esprimere liberamente le proprie idee politiche, il proprio orientamento sessuale, per essere donne senza dover subire violenze.
Sono tante e diverse le storie di coloro che si sono rifugiati in Umbria in attesa di vedersi accolta o negata la richiesta per il riconoscimento della protezione internazionale.
Di loro, dal 18 marzo di quest’anno, si occupa la neo-costituita Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, con sede a Perugia in corso Cavour, presso i locali della prefettura.
La sezione ha competenza sulle istanze presentate alle questure di Perugia, Arezzo e Terni, oltre che per i richiedenti asilo attualmente inseriti nello Sprar, il Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati.
A comporre la commissione un dirigente prefettizio, un rappresentante del dipartimento di polizia, uno dell’ente territoriale, tra cui il Comune di Perugia, e uno dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
È proprio davanti a queste persone – opportunamente formate tramite un corso tenuto dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo e dall’Unhcr – che il richiedente asilo, nel momento della presentazione della domanda, è chiamato a raccontare la propria storia, “il proprio vissuto, le ingiustizie subite in patria e durante il viaggio e vedersi così restituire, attraverso un ascolto attento, la propria dignità di essere umano”, come spiegato dal prefetto di Perugia, Antonella De Miro, in occasione dell’ultima Giornata mondiale del rifugiato.
Ad oggi, dopo quattro mesi di attività, la sezione ha complessivamente esaminato 165 istanze, di cui 52 di Arezzo, 78 di Perugia e 35 di Terni. In sei casi è stato riconosciuto lo status di rifugiato (2 di Arezzo, 2 di Perugia e 2 di Terni); altrettante le concessioni di protezioni sussidiarie (1 Arezzo, 4 Perugia, 1 Terni), mentre 33 sono stati i riconoscimenti del diritto alla protezione umanitaria (12 di Arezzo, 13 di Perugia e 8 di Terni).
Ben 108 sono stati, invece, i provvedimenti di diniego delle domande di protezione internazionale. “L’alto numero di rigetti – sottolinea il prefetto – trova una prima spiegazione nella provenienza dei richiedenti da Paesi che non presentano situazioni locali da cui far discendere automaticamente il riconoscimento: Nigeria del Sud, Gambia, Senegal, Mali del Sud e Bangladesh tra le prime cinque nazionalità. Ovviamente ogni singolo caso viene trattato in maniera individuale per la sua specificità a prescindere dalla nazionalità del singolo richiedente”.
Tante specificità che si ritrovano accomunate da un unico filo conduttore, la sofferenza. “Tutte le richieste esaminate – continua infatti la De Miro – presentano un punto comune: il racconto traumatico del viaggio, l’approdo in Libia, le violenza subite in quel Paese, l’impossibilità di tornare indietro, attraverso il deserto, la spinta a proseguire in avanti, attraverso il mare, sconosciuto a molti, verso un futuro ignoto”.
Su tutte, resta emblematica la testimonianza di un giovane gambiano: “Sapevo cosa avevo lasciato alle spalle: il deserto e le sue asperità. Non sapevo che cosa avevo davanti, non avevo mai visto l’acqua prima, ma l’atrocità dalla quale fuggivo era talmente grande che quello spaventoso Ignoto mi è sembrato l’unica salvezza”.
Profughi: i numeri in Umbria
Ad oggi, in Umbria sono presenti 918 cittadini extracomunitari gestiti dalle prefetture, di cui 698 in provincia di Perugia e 220 in provincia di Terni. A questi occorre aggiungere 373 immigrati ospitati nei centri Sprar dell’Umbria, di cui 180 inviati direttamente dal Servizio centrale protezione del ministero dell’Interno.
In realtà, i cittadini giunti nella nostra regione nel corso dei mesi sono stati di più, ma molti si sono allontanati prima dell’identificazione. Gli allontanamenti volontari sono stati, infatti, complessivamente 683 tra il 2014 e il 2015. Gli immigrati provengono da diversi Paesi e in particolare da: Gambia, Senegal, Mali, Niger, Nigeria. Tutti coloro che sono presenti nei centri di accoglienza hanno fatto istanza di riconoscimento della condizione di profugo.
L’esempio virtuoso dello Sprar di Todi
L’arrivo in Italia, il periodo di accoglienza e di richiesta asilo possono diventare anche un’importante occasione di crescita e di formazione. Ne è un esempio lo Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati) di Todi, il cui soggetto attuatore è l’istituto Artigianelli Crispolti e “l’anima” operativa la Caritas.
“Nel nostro centro – racconta Marcello Rinaldi, delegato della Caritas diocesana e direttore dell’istituto – ospitiamo circa una trentina di persone. Nel tempo, infatti, abbiamo sempre scelto di puntare maggiormente sulla qualità della nostra accoglienza che sulla quantità delle persone accolte.
L’obiettivo non è rispondere ai soli, seppur fondamentali, bisogni materiali, come mangiare, dormire, vestirsi, ecc., ma anche dare qualcosa in più, accompagnare queste persone a inserirsi in un nuovo Paese. Un obiettivo sempre più difficile, data la crisi, ma che portiamo avanti poggiandoci su basi solide che sono i nostri valori, umani e religiosi”.
Per questo lo Sprar di Todi mette in campo una serie di iniziative volte a promuovere l’accoglienza e l’integrazione. Come l’accordo firmato nel febbraio scorso tra l’istituto Crispolti e il Comune di Todi per interventi di manutenzione al parco della Rocca.
“Si tratta di una sorta di ‘dono’ che i nostri ragazzi hanno voluto fare alla cittadinanza”, spiega ancora Rinaldi. I rifugiati e richiedenti asilo attualmente ospitati nell’istituto tuderte si occuperanno, infatti, a titolo completamente gratuito, con cadenza settimanale, dell’esecuzione di piccoli interventi di manutenzione del verde urbano di una parte del parco.
Altra importante esperienza dello Sprar tuderte, ormai attiva da tre anni, è il progetto “Asylon”, “progetto di formazione professionale – dice Rinaldi – nell’ambito dell’agricoltura, che si propone di attivare percorsi formativi per queste persone, anche minorenni, durante il loro periodo di permanenza in accoglienza.
I percorsi formativi sono realizzati dall’istituto Agrario di Todi, dove ogni anno i ragazzi collaborano alla produzione e alla commercializzazione nell’azienda agricola annessa all’istituto di un vino bianco, Grechetto di Todi Doc, appunto chiamato Asylon. I proventi della vendita vengono interamente destinati al finanziamento dei percorsi formativi per rifugiati”.
L’iniziativa, che gode del patrocinio dell’Unhcr, si avvale del sostegno di Caritas Umbria e di Libera – associazione contro le mafie. Per acquistare il vino: www.vinoasylon.it.