Il testo del Vangelo che ascolteremo in questa 16a domenica del tempo ordinario è breve: cinque versetti. A prima vista, queste poche linee sembrano solo una breve introduzione al miracolo della moltiplicazione dei pani nel deserto. Se però la liturgia di questa domenica ha separato dal resto e sottolineato questi cinque versetti, vuol dire che racchiudono qualcosa di molto importante, che forse non si noterebbe “di sfuggita” .
Infatti questo brano rivela alcune caratteristiche di Gesù che hanno sempre colpito e continuano a farlo: la sua preoccupazione per la salute e la formazione dei discepoli, la sua umanità accogliente verso la gente povera di Galilea, la sua tenerezza verso le persone.
Se la Chiesa, per mezzo della liturgia, ci invita a riflettere su questi aspetti dell’attività di Gesù, lo fa per spingere ognuno di noi a prolungare e a fare nostro questo stesso atteggiamento del Maestro nel rapporto che abbiamo con lui e con gli altri. Quindi, oltre a fornirci un ritratto di Gesù formatore dei discepoli, il brano evangelico di Marco indica che annunciare la sua Buona Novella non è solo una questione di dottrina ma soprattutto di accoglienza, di bontà, di tenerezza, di disponibilità, di rivelazione dell’amore di Dio nella realtà “incarnata” di chi ci sta intorno.
“Seguire” era il termine che faceva parte del sistema educativo dell’epoca. Era usato per indicare il rapporto tra il discepolo e il maestro. Il rapporto maestro-discepolo è diverso dal rapporto professore-alunno. Gli alunni assistono alle lezioni del professore su una determinata materia. I discepoli “seguono” il maestro, vivono con lui. Ed è proprio durante questa “convivenza” con Gesù che i discepoli ricevono la loro formazione.
Gesù, il Maestro, è l’asse, il centro e il modello della formazione. Nei suoi atteggiamenti, è prova vivente del Regno, incarna l’amore di Dio, lo rivela. Molti piccoli gesti rispecchiano questa testimonianza di vita con cui Gesù indicava la sua presenza nella vita dei discepoli, preparandoli alla vita e alla missione.
Era il suo modo di dare una forma umana all’esperienza che lui stesso aveva avuto con il Padre. Per questo Gesù chiama i discepoli in disparte; in questo tempo, il Signore concede ciò che ha veramente promesso, ciò che è più necessario: concede se stesso. E trasmette il segreto del Regno e della vita: la Terra promessa non è un luogo geografico ma “un tempo con il Signore” per dare respiro alla pace, per dare ali al cuore, per essere riempiti della Sua presenza, per innamorarsi di nuovo.
Questo portava i discepoli ad avere altri occhi, nuovi atteggiamenti. Faceva nascere in loro una nuova consapevolezza nei riguardi della missione e di se stessi. Faceva sì che mettessero i loro piedi accanto a quelli degli esclusi. Sentiamoci tutti interpellati sulla qualità della nostra sequela di Gesù anche sapendo rimanere “in disparte con lui” come figli, come genitori, come educatori, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità cristiane perché possiamo crescere in disponibilità, apertura e dialogo come discepoli autentici.
“Sbarcando, vide molta folla ed ebbe compassione di loro”. Gesù ha sempre compassione della gente e la “serve” in molti modi: scaccia gli spiriti immondi, cura i malati e coloro che sono maltrattati, purifica coloro che sono esclusi a causa di impurità, accoglie gli emarginati e fraternizza con loro.
Annuncia, chiama e convoca. Attrae, consola e aiuta. È una passione che si rivela: passione per il Padre e per la gente povera e abbandonata della sua terra. Lì dove trova gente che lo ascolta, parla e trasmette la Buona Novella. In qualsiasi luogo. Preso in un dilemma, fra la stanchezza degli amici e lo smarrimento della folla, e partito con un programma importante, Gesù ora è pronto a cambiarlo. Partiti per restare soli e riposare, i discepoli imparano a essere a disposizione dell’Uomo, sempre. A non appartenere a se stessi, ma al dolore e all’ansia di luce della terra.
La prima cosa che i discepoli imparano da Gesù è quella di commuoversi semplicemente, divinamente. Il tesoro che essi porteranno con sé dalla riva del lago è il ricordo dello sguardo di Gesù che si commuove. Ancora oggi è questo il tesoro che tutti noi siamo chiamati a salvare: il miracolo della compassione, perché nessuno si senta solo e abbandonato ma, anche per il nostro impegno, sia accolto e custodito dal Signore come pupilla dei suoi occhi.