“È il Signore”. Questa l’esclamazione del discepolo che Gesù amava, nel momento in cui, quando è ancora sulla barca nel lago di Galilea, riconosce che quella voce è del Risorto. Con il vangelo di questa domenica ascoltiamo dell’ultima apparizione di Gesù ai discepoli nel racconto di Giovanni. Le prime due – sempre secondo il quarto Vangelo – avvengono a Gerusalemme. Poi il racconto si sposta e ci fa spostare fino alla Galilea: è lì che coloro che hanno vissuto il dramma della Passione devono tornare. Dove tutto era iniziato. Si tratta di dover “raccogliere i pezzi” e non si può farlo a Gerusalemme, la città dove il Messia è stato perseguitato e messo a morte. L’aveva detto un angelo, ci ricorda la fonte più antica (il vangelo secondo Marco): “Andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto” (Mc 16,7).
Il Risorto è fedele alla sua promessa, e mantiene quanto aveva detto all’ultima cena: “Tutti rimarrete scandalizzati (…). Dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea” (Mc 14,27-28). La Galilea è il luogo dove tutto aveva avuto inizio, e da lì si può ripartire per “rileggere” tutto da una nuova prospettiva, quella data dalla risurrezione di Gesù. Guarire le ferite. Il tempo delle apparizioni post-pasquali è quello in cui i discepoli devono essere presi per mano dal Risorto perché guariscano le loro ferite. Quelle di Gesù, mostrate a Tommaso, sono ancora aperte e portano i segni dei chiodi (cfr. Gv 20,27); ma anche quelle dei suoi discepoli erano sicuramente dolorose. Saranno state le ferite dell’odio e del mistero d’iniquità riversatisi sull’innocente messo a morte; saranno state le ferite del tradimento di uno di loro, che aveva mangiato e vissuto con i dodici, e che consegnando il Messia al sinedrio li aveva delusi e si era poi tolto la vita; certamente le ferite di Pietro per aver rinnegato il Maestro, e degli altri per averlo lasciato solo sulla croce. Quanto rancore, quante delusioni, quanto dolore, quanto male.
Il percorso per arrivare in Galilea è percorso di crescita, in cui avranno dovuto ripensare agli ultimi avvenimenti e mettere ogni cosa nel giusto posto. Con l’unico ordine possibile: quello dato dal perdono, ricevuto dal Cristo – se qualcuno avrà avuto qualcosa di cui pentirsi -; e donato agli altri. Comprendere la novità. Serve tempo ai discepoli di Gesù per rendersi pienamente consapevoli della novità che è la risurrezione. Questa non appare come una dottrina certa nell’Antico Testamento. Attestata nei profeti ma con significato simbolico (si pensi al racconto delle ossa inaridite di Ezechiele al cap. 37) è soprattutto al tempo del giudaismo del secondo Tempio – in occasione della crisi maccabaica – che il pensiero ebraico giunge ad elaborare la possibilità di una esistenza sostanziale dopo la morte. Infatti “prima dell’esilio la morte non rappresentò mai un problema per gli ebrei. Morire era una necessità della natura e morire significava finire nello sceol” (Sacchi).
Ma ad un certo punto avviene una svolta: si inizia a formare l’idea che la morte non può vincere la giustizia di Dio e la relazione che egli ha con la singola persona. Tutto questo però non è ancora chiaro al tempo di Gesù, se alcuni gruppi, come quello dei sadducei, non credono nella risurrezione. Dopo le incertezze dottrinali nel giudaismo contemporaneo a Gesù, è egli stesso “che la insegna con fermezza”, e “lega la sua fede nella risurrezione alla sua stessa persona: Io sono la Risurrezione e la Vita. Non solo con gli insegnamenti, ma dando anche segni, facendo tornare in vita alcuni morti, e risorgendo egli stesso dalla morte” (Catechismo della Chiesa cattolica, 993; 994).
È quindi solo con il Cristo che si chiarisce, in modo inequivocabile rispetto all’Antico Testamento o al giudaismo del suo tempo, che i morti risorgeranno nella carne: “la risurrezione dei morti è stata rivelata da Dio al suo Popolo progressivamente” (ibid., 992). Si prende cura di loro. Il Risorto ha tante cose da guarire e da spiegare. Così facendo si prende cura dei discepoli, fino a far trovare loro il pesce e il pane e dar loro da mangiare. Ha anche preparato il fuoco, per cuocere il cibo e per scaldare il loro cuore. Come accaduto ai discepoli di Emmaus, gli altri con i quali ha condiviso un tratto di strada: “Non ci ardeva forse il cuore?” (Lc 24,32). Lo stesso accada a noi, di noi si prenda ancora cura – preghiamo – noi che lo vogliamo riconoscere quando “continua a manifestarsi ai suoi discepoli” (Colletta seconda).