la resistenza contro la violenza e l’ingiustizia, che nascono dalla violazione di quel codice etico che sta alla base della nostra civiltà, quella delle “dieci parole”, dei “comandamenti di Dio”. Cristo risorge, sconfiggendo la sofferenza e la morte ostinatamente perpetrate dall’uomo. È la resistenza contro la scaturigine interiore di quella sofferenza e di quella ingiustizia, e cioè il peccato, l’arrogante volontà di contrapporsi al progetto di Dio. Cristo è risuscitato da morte per la potenza dello Spirito, proprio perché ha realizzato il progetto del Padre, obbedendo (Dio solo sa con quanta fatica!) alla sua imperscrutabile volontà e dando l’estrema testimonianza di amore verso ciascuno di noi con l’offerta della sua vita (si può dare qualcosa di più grande della vita?), ed anzi con l’offerta del perdono a chi lo stava assassinando consapevolmente. È la resistenza contro le concause e le concomitanze esteriori di quella sofferenza e di quella ingiustizia, e cioè tutte le trame preparatorie dell’olocausto. I suoi nemici gliel’hanno volutamente tirata in tutti i modi, cercando di prenderlo in fallo nei suoi discorsi, di contrapporsi platealmente ai suoi gesti di solidarietà con i poveri e i malati (il paralitico guarito di sabato, il cieco nato, l’uomo dalla mano rattrappita…), di contestargli testardamente la sua opposizione ad abitudini sociali e culturali inveterate e cervellotiche (certe interpretazioni del sabato, del puro e dell’impuro, la lapidazione delle donne adultere, il pagamento delle tasse al potere politico, il mercato del sacro, la lettura d’una sofferenza come punizione divina per peccati non commessi e non conosciuti, e così via). È vero: i suoi nemici alla fine l’hanno spuntata e l’hanno confitto in croce, sghignazzandogli poi in faccia: “Scendi giù dalla croce e ti crederanno!”. La resurrezione significa che in realtà il vincitore è Lui che non ha indietreggiato d’un millimetro dalle sue posizioni, e che i perdenti sono gli altri, i quali pensavano d’averlo finalmente sotterrato sotto una coltre di ridicolo e di vergogna, tanto d’essere riusciti a convincere i suoi stessi beneficati a urlare nel pretorio di Pilato: “Ammazza questo santone, e ridacci libero quel galantuomo di Barabba!”. Quante cose ci dice quel Crocifisso! Solo chi ha la coscienza inquieta preferisce non averlo dinanzi agli occhi in nome d’una singolare libertà di coscienza (e chi la nega?). Ed invece è proprio in nome di quel Cristo in croce, il quale allarga le sue braccia verso tutti, che il credente rispetta, aiuta, ama il diverso da sé. Ed è proprio in nome di quel Cristo in croce che il credente ritrova il coraggio e la forza interiore per resistere non solo al peccato, ma anche alle trame e alle strutture di peccato (istituzioni, leggi, comportamenti e quant’altro), che distruggono di fatto la dignità dell’uomo e della donna, della famiglia e dei figli che sbocciano alla vita, dei poveri d’ogni specie che faticano ad assaporare il dono dell’esistenza. Dopo la resurrezione di Cristo è doveroso non solo sopportare, ma anche resistere dinanzi ad ogni mistificazione della Verità.
Resurrezione come resistenza
Il valore della Pasqua per l'uomo d'oggi, oppresso dalle brutte notizie che rendono invisibile la speranza
AUTORE:
' Giuseppe Chiaretti