Un manifestante in una delle tante proteste in piazza dei greci di qualche giorno fa, a un certo momento ha alzato la voce gridando con orgoglio dentro un microfono: “Europa è una parola greca!”. Non ha avuto tempo e modo di spiegarsi meglio, e tanto meno di raccontare il mito di Europa, figlia di Agenore re di Tiro, di cui si innamorò lo stesso Zeus padre degli dèi, ma il messaggio era chiaro e conteneva molte altre storie della civiltà greca, da cui non si finisce mai di imparare.
La stessa “democrazia” è una parola greca, come economia, filosofia, psicologia, creando un tessuto linguistico e culturale che ci rende vicini e debitori verso questo piccolo, grande Paese. Ma le parole e i miti oggi non bastano più a nessuno e non trovano spazio nella contabilità degli Stati; non hanno un peso nei loro bilanci, non alleggeriscono il debito pubblico.
Prendere atto di questo da parte di un popolo è difficile, e può sembrare un venir meno alla coscienza della propria dignità e grandezza, finendo talvolta in una specie di esaltazione nazionale più nominalistica che reale. Riferimenti e glorie del passato talvolta possono porsi perfino in contrasto con il presente, come quando si esalta Roma come “madre e maestra universale del Diritto”… e ci ritroviamo la corruzione nel settore pubblico e privato, con tanto di cosiddetta Mafia Capitale.
Con un po’ di pazienza, un discorso di questo tipo si potrebbe allargare a ogni nazione europea: ognuna di esse si esalta in particolari circostanze, come le feste nazionali, dimenticando o trascurando di ricercare soprattutto il bene del popolo.
Parlando di Europa, oggi ci troviamo di fronte non più a un mito o sogno, ma a un progetto insieme ideale e reale, fondato su una comune storia, forti e profonde radici culturali, interessi comuni di sviluppo e di benessere per tutti senza discriminazioni: un antidoto alle guerre che hanno funestato le nazioni del Vecchio Continente per secoli.
Vi è una moneta comune, e criteri comuni di comportamento economico-finanziario per mettersi al riparo dalle speculazioni internazionali e dalle grandi potenze economiche, a tutela del benessere dei nostri popoli (almeno sulla carta). Per tutto questo, che riguarda anche l’Italia non meno della Grecia, anziché fare schermaglie ideologiche o trattative da “braccio di ferro”, ci si deve mettere a tavolino a fare i conti (anche se sembra troppo tardi), si deve tornare a una sana filosofia popolare antica che recita primum vivere, deinde philosophari, “prima la vita, poi la filosofia”.
A tutti i livelli della società si devono rifare i conti, si deve stare alle regole del “buon padre di famiglia”, che garantisce ai figli il pranzo e la cena; si deve essere umili nel quotidiano e nella cura anche delle piccole cose. Secondo Papa Francesco è necessario cambiare stili di vita a tutti i livelli della società, non solo nella prospettiva ecologica, per rispettare la creazione, ma anche economica e sociale per una più equa distribuzione delle ricchezze, che per molti significa distribuzione del minimo vitale per la sopravvivenza.
Se qualcuno coltiva ancora il pregiudizio del superuomo e dell’onnipotenza, dovrà fermarsi per fare i conti. Questo esercizio è la vera sfida di oggi, che consentirà di far rifiorire gli ideali e di realizzare una Comunità europea unita di fatto attorno a un tavolo dove nessuno bara e tutti svolgono il loro compito e pagano il loro debito, in base a equità e responsabilità.
Questo è il progetto dell’Europa oggi, che richiama alla cultura benedettina (san Benedetto da Norcia è infatti patrono d’Europa) la quale ha legato indissolubilmente la regola della preghiera con la regola del lavoro e dell’organizzazione della vita collettiva. La prima di tali regole è quella di fare i conti con la realtà.