“Travolgente”: così il mio Vescovo ha definito il discorso che il card. Francesco Montenegro ha rivolto all’Assemblea annuale della mia diocesi di Gubbio, radunata la settimana scorsa in vista del Convegno che le Chiese italiane terranno nel prossimo novembre a Firenze, sul tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”.
Travolgente. E il giudizio dei confratelli che ho avuto modo di ascoltare si muove su questa stessa linea. Io ero assente perché impegnato proprio in quell’ora nell’accoglienza di un feretro che riportava a Gubbio da molto lontano un carissimo amico del tempo che fu. Travolgente a me è parso anche l’aggettivo che, sia nell’assemblea suddetta, sia nel Convegno nazionale di Santa Maria degli Angeli sulla pastorale della salute, ha costantemente accompagnato la parola “proposta”: l’aggettivo “concreta”.
Proposte concrete: si va diffondendo il timore che il mare delle disquisizioni di trasformi in un oceano di chiacchiere? Non so rispondere a questa domanda, perché ho cercato di misurarmi con questo timore, ci ho impegnato tutto quello che avevo, ma gli esiti sono stati modestissimi. Nel 1974 la mia Comunità di Capodarco dell’Umbria è partita con un rush da centometrista puro; oggi – mi vien fatto di pensare, a volte – appartiene all’“archeologia sociale”, come i tanti capannoni dismessi a causa della crisi appartengono all’archeologia industriale.
E la mia Chiesa italiana, non ieri o l’altro ieri, ma nel lontano 1981 lanciò con il cuore in alto lo slogan Ricominciare dagli ultimi. Ma ancora una volta la montagna – mi vien fatto di dire, a volte – partorì un vivace topolino. Poi la Provvidenza ci ha mandato Papa Francesco, che ha detto parole che noi abbiamo giudicato di sconvolgente novità, mentre invece erano le primissime parole del messaggio cristiano.
Due parole, due preposizioni: per e con. Il Figlio di Dio si è incarnato per noi, perché la sua misericordia non poteva non lasciarsi coinvolgere dalla nostra miseria, da quella nostra povertà costituzionale (il peccato originale) che è all’origine delle tante miserie del nostro quotidiano. Ma incarnandosi, il Figlio di Dio l’ha fatto con noi: una scelta che, trascendendola, è la forma più alta di una vita data per noi.
Qui, e non in una qualche acuta analisi sociologica, o in un criptato disegno di nuovo proselitismo, si radica il primato dei poveri che Francesco Bergoglio e Francesco Montenegro ripropongono sulla scia di Cristo e dell’altro Francesco, che Dante vide come l’unico capace di amare follemente la vedova di Cristo, quella Madonna Povertà che tutti avevano scansato come si fa con i lebbrosi, e Lui ebbe il coraggio di salire con lei sull’alto della croce. Su, in alto. Altissimo. E totalmente concreto.