Cosa vogliamo festeggiare il 31 gennaio? Anzitutto il passato. In 50 anni La Voce ha accompagnato la storia della Chiesa di Città di Castello e di tutta la comunità civile. Quante ne ha raccontate La Voce in 50 anni! Quante iniziative svolte dalle parrocchie, dai gruppi, dalle associazioni! Quante vicende vissute dai vescovi che si sono succeduti sulla sede di san Florido, dai preti che hanno operato in diocesi, dai laici che si sono impegnati per la costruzione della città di Dio e di quella degli uomini. Quante polemiche ha fatto La Voce! Soprattutto quando – altri tempi – era alto lo scontro con gli anticlericali. La Voce fin dall’inizio ha parlato da un proprio ed esclusivo punto di vista: quello della diocesi, la Chiesa che vive nel nostro territorio, e non da un’altra parte. Festeggiare dunque, non semplicemente ricordando dei fatti che sono avvenuti, ma pensando a tutte le persone che li hanno determinati. Vogliamo dunque ricordare più le persone che hanno fatto il giornale che i tanti fatti raccontati da La Voce.
Per primo mons. Pietro Fiordelli che, nel marzo 1945, fondò proprio a Città di Castello La Voce Cattolica, periodico che poi confluì – nel 1953 – ne La Voce. Mons. Fiordelli fu poi il direttore regionale che accompagnò i primi mesi di vita del settimanale e continuò ad amarlo tanto da adottarlo per la sua diocesi di Prato. Questo deve essere ben ricordato. È il primo motivo per fare a Città di Castello la festa al giornale. Poi vengono tutte le persone che hanno lavorato, ogni settimana, per anni, per fare uscire il giornale: don G. Battista Polchi, mons. Benso Benni, don Loris Giacchi, don Luigi Guerri, don Gino Capacci.
Oggi tutti i mezzi tecnologici permettono di comporre il giornale da una scrivania, allora si compiva ogni settimana un pellegrinaggio da Città di Castello a Fossato di Vico (dove si componeva il giornale) a Roma (dove lo si stampava). Un lavoro eroico. L’elenco dei responsabili e dei collaboratori deve rimanere aperto perché molti possano aggiungere il loro nome. Una delle caratteristiche de La Voce è proprio questa: i collaboratori non sono giornalisti, ma sono preti o laici che vivono “sul campo” e raccontano a tutti la loro esperienza. Sicuramente non può mancare un festeggiato: don Nazzareno Amantini, il prete che da più di 20 anni sta seguendo settimana dopo settimana le due pagine diocesane nel settimanale. A lui abbiamo chiesto una testimonianza che è diventata un ringraziamento (vedi box). Ma il 31 gennaio si farebbe solo una mesta commemorazione di un passato che non c’è più se non guardassimo al futuro, almeno secondo due direzioni. La prima, considerando l’importanza della stampa, non solo di quella cattolica. Quel giorno il vescovo ha invitato anche i giornalisti per celebrare il loro patrono, san Francesco di Sales. Tutti dovremmo riflettere seriamente sull’importanza dei mezzi di comunicazione! Una domanda può invece aiutare a pensare al futuro de La Voce: esistesse o non esistesse sarebbe la stessa cosa? Se il giornale non ci fosse, sarebbe come oggi che invece c’è? Una provocazione, forse, che però può servire a chiarire alcune motivazioni del settimanale.
La Voce è uno strumento delle chiese dell’Umbria, tra queste quella di Città di Castello. È solo uno strumento: come tale può essere utilizzato (oppure no) a servizio della comunione tra tutti i componenti della comunità ecclesiale. Se si sceglie di utilizzarlo ognuno è chiamato ad assumersi una duplice responsabilità: contribuire alla diffusione del settimanale, ma anche contribuire ad arricchirlo di contenuti (oggi basta un’e-mail all’indirizzo: castello.redazione@lavoce.it). Anche dalla conoscenza reciproca può nascere ed alimentarsi la comunione. Il 31 gennaio il Vescovo ha invitato i giornalisti ed i collaboratori ‘storici’ del giornale, ma tutta la comunità diocesana è invitata proprio perché La Voce è il suo giornale e perché ogni cristiano della Chiesa tifernate può essere un collaboratore.