‘E adesso a quello che cosa gli regalo? Eppure glielo devo fare, mi tocca, capirai, mi ha procurato il lavoro’. Oppure: ‘Con l’aumento dei prezzi, e con i regali che devo fare, quest’anno mi rovino’ . Oppure ancora: ‘Mio figlio mi ha chiesto il computer, l’altro il motorino, e io come faccio? D’altra parte ce l’hanno tutti’. Sono espressioni che si possono cogliere facilmente sulla bocca di più di una persona. Di quelli che sono a corto di denaro, ma non possono tirarsi fuori del giro della società dei consumi e dalla moda dominante.Ci sono poi quelli che predicano l’austerità contro ogni forma di spreco. Nelle pagine dei giornali cattolici e anche nelle nostre, risuonano spesso richiami a utilizzare i propri denari per coloro che si trovano nella povertà, o per le grandi cause umanitarie. Nelle riviste missionarie, che fanno servizi informativi e reportages da Paesi esteri, africani, asiatici e sudamericani, troviamo vere e proprie rampogne contro il mondo ricco che naviga su una massa di prodotti superflui e non pensa a coloro che affondano in un mare di fango. Riflettere sui regali che si fanno in questi giorni e in concomitanza con il Natale, comporta questo tipo di pensieri. E tuttavia, niente e nessuno potrà fermare la corsa ai regali e la prassi del dono scambiato reciprocamente in questa occasione, perché è connaturale con lo spirito umano, con la sua esigenza intima di riconoscere e farsi riconoscere come amico, o come una persona grata, che ha stima e ripone fiducia verso un’altra persona e in qualche modo vuole anche mostrare se stessa in un atteggiamento di benevolenza. Lo scambio di un dono è un riconoscere il bisogno di affermare un legame, di sentirsi in relazione, di avere un rapporto, di stare dentro, non sentirsi escluso, fuori della comunità. Quelli che si lamentano, come si diceva all’inizio, sono i ‘forzati’ del regalo, che esce dagli schemi autentici ed originari e ne rappresenta un aspetto utilitaristico e commerciale, una specie di do ut des che è una regola economica di mercato più che un segno di amicizia. Per evitare che si cada in questa degenerazione è necessario che si coltivi ‘l’arte di donare’, come c’è un ‘arte di amare’, che consiste nel ponderare se e a chi fare un regalo, che cosa regalare, perché il gesto non sia equivocato, oppure aggressivo per eccesso di affermazione di sé ostentando le proprie risorse economiche e finendo per umiliare il destinatario del dono. L’arte del donare suppone anche una buona conoscenza dell’altro, per cui si cerca di interpretare ciò che potrebbe renderlo più felice. Insomma, non è un fatto materiale, ma un delicato gesto di relazione umana che deve essere pensato e ponderato con intelligenza d’amore. Se è questo e si fa con tale sensibilità la stagione dei regali non può essere demonizzata come materialismo e consumismo, facendo parte di un clima originato dalla festa del grande dono di Dio, che è la nascita di Gesù. Come Dio ha donato e si è donato, anche i cristiani donano e si donano agli altri e di tutto ciò fanno festa, costume e cultura. E per non essere in contraddizione con se stessi e per esercitarsi nell’arte del donare gratuitamente, dovrebbero fare di tutto per non creare sacche di disperati tagliati fuori dal circuito virtuoso dello scambio di beni, non escludendo soprattutto coloro che sono privi dei beni di prima necessità. Si sa che la generosità fiorisce a Natale e raggiunge le vette più alte, ma purtroppo, a quanto dicono le indagini statistiche e le notizie di cronaca, la povertà aumenta anche nei paesi cosiddetti ricchi e si allarga la fascia degli emarginati e di quelli che non reggono al ritmo dello sviluppo e alle sfide che pone la vita si lasciano andare chiudendosi in una muta solitudine, o diventando barboni e accattoni. A questo punto oltre l’arte del dono si ha il puro e genuino amore.
L’arte del dono
Natale, festa del dono, atteso dai bambini e dagli adulti. Oltre le luci del consumismo una tradizione che ha profonde radici nella psiche umana e nella tradizione cristiana
AUTORE:
(E.B.)