Non voglio vederla. Come Federico Garcia Lorca al pensiero del cadavere ancora caldo di Ignacio appena trafitto dal nero, enorme toro di pena. Lui, così duro con gli speroni, così dolce con le spighe. Non voglio vederla! No, non ditemi di vederla!!Alludo a Marcinelle, la fiction di Raiuno. Non l’ho voluta vedere. Nemmeno un’inquadratura. Tutte le fiction delle Tv che riguardavano persone e fatti che ho avuto la ventura di conoscere da vicino mi hanno profondamente deluso. Come quella su Papa Giovanni, che in sé era sicuramente apprezzabile: ma chi, quel massiccio contadino bergamasco, l’ha sentito colloquiare ad un passo di distanza, e ascoltarlo dettare una meditazione proprio il giorno in cui entrava in Conclave…Uno dei pochissimi sopravvissuti della strage di Marcinelle fu Nanne, mio cugino. Vagamente scapestrato da giovane, una volta sposata Giuseppa (anch’essa mia cugina, per altro verso) s’era generosamente trasferito per lavoro da Scheggia a Charleroi, in Belgio. Nanne e Peppa, non “Nani e Giuseppina”. Gente generosa. Tre figli, lui minatore nella miniera di Marcinelle, lei bidella di scuola. Uno dei tanti generosi che, risparmiando all’osso, con le loro sostanziose rimesse hanno fatto la ricchezza del mio paesino montano e di questa pianura eugubina che, nell’alba stiracchiata di fine novembre 2003, mi si apre pigramente davanti mentre scrivo. La Peppa era autoritaria quasi quanto sua zia, che era poi mia madre. Quella mattina sentì Nanne tossire di brutto. “Oggi rimani a letto!”. “No, devo andare a lavorare”. “Oggi rimani a letto!” Non era un consiglio il suo. La Peppa, come tutte le donne sagge, prima e dopo la Scrittura, come sua zia e mia madre, era convinta che condurre una casa non è come condurre Porta a Porta, dove ognuno dice la sua, e il Gran Coiabellano ci nuota dentro, a quelle chiacchiere infinite. La Peppa chiuse dentro Nanne, dette un paio di girate, intascò la chiave, andò ad aprire la scuola. Quando tornò lo trovò riverso sul letto; braccia larghe, occhi sbarrati: dalla radio aveva saputo che tutti i suoi compagni di turno erano intrappolati laggiù, nelle viscere della terra. Più di 250. Tutti. Da quel momento Nanne non si riprese più. Visse ancora qualche anno, ma come inebetito. Una luce strana negli occhi. Nulla dell’antico ragazzo scapestrato. Una luce strana e stanca negli occhi. Come faccio a farmi raccontare quella vicenda da attori che “fingono”? Lo dice la parola “fiction”, o no? La vicenda di uomini e donne generosi. Come posso lasciare che, a ricordarmeli, siano donne che di generoso hanno solo la scollatura, attori che di generoso hanno solo il cachet che riscuotono?