Nel mondo nuovo che sta nascendo, la tolleranza a mezzo servizio non basta più. Rispetto e menefreghismo possono agevolmente andare a braccetto. Il mondo che auspichiamo nuovo vuole pluralismo in positivo per distinguerlo dal pluralismo in negativo, che è fratello gemello monozigote della tolleranza a mezzo servizio. Il giorno in cui morì l’on. Ugo La Malfa, la consueta vignetta caustica di Forattini su Repubblica si fece struggente: l’esponente del Pri assomigliava tutto ad una tartaruga, e Forattini disegnò una tartaruga marina sulla battigia, sola, immobile, rovesciata sul dorso, senza una parola di commento. Quel giorno nella camera ardente allestita in Parlamento, tra le migliaia di persone che resero omaggio all’uomo politico si presentò anche il card. Poletti, vicario del Papa per la diocesi di Roma; il Cardinale sostò in silenzio, come tutti, poi alzò la mano per benedire la salma: a questo punto qualcuno gli bloccò il braccio. Tolleranza quanto vuoi, ma nelle sedi giuste; a mezzo servizio, appunto; il gesto tipico della tua fede? Tu ci credi, noi no. Mi parve un sacrilegio. Post scriptum: quando toccherà a me, attorno alla mia salma ci vorrei ministri di culto di tutte le religioni, tutti, ma proprio tutti: non solo il mio Vescovo e i miei ottimi confratelli, ma anche il pope rubizzo con la voce alla Boris Christoff, e la Pastora Protestante in minigonna, e lo sciamano di passaggio, e il capo tribù dei Sioux venuto da questa parti per Eurochocolate’: che ognuno canti come sa la misericordia del Signore e lo scongiuri forte per la mia anima. Il pluralismo in positivo è il pane quotidiano delle nostre comunità di accoglienza. Le nostre comunità di accoglienza non possono essere comunità cristiane, perché sono servizi pubblici, e in quanto tali non possono escludere chi, invece che confidare nel Padre del Signore Nostro Gesù Cristo confida nella congiunzione fra Giove e Saturno. In comunità tutte le ideologie hanno diritto di cittadinanza, a tutte si chiede di sprigionare all’interno della Comunità le potenzialità liberatrici che pensano di possedere. E proprio per questo le nostre comunità non solo possono, bensì debbono essere comunità d’ispirazione cristiana, perché accolgono gente in difficoltà grave, schiava dei pregiudizi altrui e della debolezza propria, e il potenziale di liberazione integrale che il Vangelo e il Magistero della Chiesa e al suo interno i Profeti dei Poveri mettono al servizio del loro riscatto non ha assolutamente nulla di paragonabile in altre concezioni di vita.