Una regione a due facce, per quanto riguarda le cifre dell’economia. Questo quanto appare dalla lettura dei dati sul sistema economico locale dal ’95 al 2001, secondo le indicazioni emerse nel seminario di studio organizzato in settimana a Perugia dall’Agenzia Umbria ricerche. Anticipando alcuni risultati della Relazione economica e sociale sull’Umbria, che uscirà a dicembre, l’Aur mette in luce alcuni paradossi che fanno riferimento alla coesistenza, spesso faticosa, di aspetti economici diversi, a cominciare da quella dell’export e dell’occupazione con la bassa propensione agli investimenti e l’aumento del lavoro precario. “Le politiche per l’euro – ha spiegato Stefano Patriarca, direttore dell’Aur – hanno avuto effetti positivi sull’Umbria, in combinazione anche con altri eventi socio-economici, come ad esempio la macchina della ricostruzione post terremoto avviata nel 1998”. Secondo Patriarca tra le analisi più interessanti c’è quella che mette in evidenza una crescita generalizzata in quasi tutti i settori produttivi dell’economia regionale. “Guardando i dati – spiega ancora il direttore dell’agenzia regionale – ci accorgiamo che l’Umbria può costruire una sorta di standard per un’economia dei paradossi, poiché unisce aspetti diversi che spesso con qualche fatica stentano a tenersi logicamente insieme. L’alta performance di molti settori, il decollo dell’export, una consistente crescita dell’occupazione, soprattutto femminile e qualificata, convivono con una bassa propensione a investire e un accentuato aumento del lavoro precario”.Secondo i ricercatori dell’Aur, l’Umbria avrebbe sfruttato appieno una fase favorevole, poggiando anche su un rilevante supporto di coesione sociale, traducendolo in un aumento del reddito e dell’occupazione. Ma non tutto è rose e fiori, se Raffaele Brancati dell’Università di Camerino – uno dei relatori del seminario – ha affermato che le politiche industriali e di sostegno alle imprese in Umbria sarebbero molto grossolane e poco mirate e dettagliate. Anche se in regione resta quasi un tabù il confronto sulla questione dei distretti industriali, Marco Ricchetti di Hermes Lab ha parlato a lungo proprio di sviluppo locale e distretti, analizzando dati e caratteristiche dell’economia distrettuale italiana. Il direttore di Sviluppumbria, Vinicio Bottachiari, ha messo in guardia dai pericoli della crisi congiunturale in corso. “Potrebbe essere davvero molto dannosa – ha detto – per l’economia umbra che, nonostante qualche segnale positivo, è strutturalmente debole, delicata e complessa”. Bottachiari mette in evidenza soprattutto il problema del ricambio generazionale degli imprenditori. Quelli nuovi e i figli di imprenditori non avrebbero la stessa capacità di “fare impresa” delle generazioni passate. “Si tratta ora di capire – ha aggiunto – come il tessuto produttivo umbro, fatto per lo più di micro-imprese, possa evolvere verso un vero e proprio modello di sistema locale regionale”.Un allarme lo lancia anche l’ex “governatore” dell’Umbria, l’economista Bruno Bracalente. “Nei prossimi dieci anni – sostiene – in Umbria mancheranno 50 mila lavoratori tra i 20 e i 40 anni. Quelli che portano il ricambio e l’innovazione e quindi la crescita di produttività”. Un importante fattore demografico che potrebbe incidere profondamente nello sviluppo dell’economia regionale. Quadro problematico sul fronte del lavoro. Bene l’exportDati e cifre degli ultimi sette anni disegnano una regione dal Pil (prodotto interno lordo) in sintonia, con valori appena superiori, con la crescita o la diminuzione di quello nazionale. L’occupazione è stata in crescita costante, mentre gli investimenti fissi lordi hanno un andamento inferiore al dato nazionale (17,7 per cento contro il 27,1). Continua la proliferazione delle imprese individuali e delle micro-imprese, specie nel comparto delle costruzioni e dei servizi non commerciali. Fra il 2001 e il 2002, il valore delle esportazioni umbre è cresciuto del 5 per cento, con una flessione in provincia di Perugia e un deciso recupero in quella di Terni. Mercati privilegiati: la Cina, il Messico, la Corea del Sud, Hong Kong, Singapore e Taiwan. Cala l’export verso la Germania. Sul fronte del reddito, dal ’95 al 2001 la crescita di quelli da lavoro dipendente si allinea alla media nazionale. Dal punto di vista dell’occupazione, perdono unità di lavoro l’agricoltura, la produzione e distribuzione di energia elettrica, l’estrazione di minerali. Crescono invece gli addetti di attività immobiliari, informatica, ricerca, intermediazione monetaria e finanziaria, servizi domestici, fabbricazione della carta, alberghi e ristoranti e fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici. Nel 1995 i disoccupati in Umbria erano 31 mila, scesi a 20 mila nel 2002 (13 mila donne e 7 mila uomini). Sempre l’anno scorso, i contratti a tempo determinato erano l’11 per cento del totale, molto al di sopra di quelli delle altre regioni.
Economia umbra in salute? Per l’export sì. Per il lavoro no
I paradossi dell'economia locale nelle anticipazioni della Relazione economica e sociale Aur
AUTORE:
Daniele Morini