E’ fuor di dubbio che la scienza costituisca un aspetto non secondario dell’attuale cultura europea. Tutti gli abitanti del vecchio continenete hanno avuto modo, prima o poi, di conoscerla; alcuni, pochi, sotto la forma astratta e un po’ elitaria della teoria scientifica, altri, i più, sotto la forma concreta delle applicazioni tecnologiche. Gli stessi linguaggi europei si sono arricchiti di termini tecnico-scientifici, dimostrando che lo stesso comune modo di pensare risulta ormai pervaso dalla scienza e dai suoi derivati. In breve, non sarebbe possibile, oggi, immaginare una cultura europea priva del contributo della scienza. Non è necessario essere in possesso di una cultura storica particolarmente vasta per rendersi conto che l’Europa è l’unico luogo al mondo in cui la scienza abbia trovato un ambiente culturale adatto che ne ha favorito la nascita e lo sviluppo. La scienza, in una accezione vicina a quella moderna, è comparsa varie volte, in epoche e in paesi diversi durante la storia dell’umanità. Nacque in Cina dove dette vita ad una raffinata tecnologia. Nacque in India. Nacque e crebbe in Grecia da dove fu esportata alle vivaci e ricche città dell’Asia Minore e ad Alessandria dove, grazie ad istituzioni di grande rilievo, il Museo e la Biblioteca, portò frutti di sommo ingegno. Durante i primi dieci secoli dell’era cristiana rifiorì nei paesi islamici, dove si assistette a spettacolari balzi in avanti soprattutto nelle matematiche. Fin dove fu possibile, ognuna di queste civiltà cercò di fare tesoro delle conquiste scientifiche precedenti. In nessun caso, però, la scienza ebbe la possibilità di divenire cultura di popolo. Non trovò mai le condizioni opportune per espandere le sue radici e crescere. E ciò portò ogni volta alla sua scomparsa. In Europa le cose andarono diversamente. E’ tradizione far risalire la nascita della scienza moderna a Galileo. Questa, però, è un’ultra-semplificazione. In realtà, Galileo non è che la fase terminale di un lungo processo che ebbe inizio intorno al decimo secolo, quando la dormiente cultura europea fu stimolata ad un nuovo interesse per la scienza e per la natura. Come spesso accade nella storia della scienza, ad un singolo individuo toccò di giocare il ruolo chiave di stimolo. Si chiamava Gerberto di Aurillac, un francese che divenne papa nel 999 con il nome di Silvestro II. Attraverso le relazioni ecclesiastiche che intratteneva con la Spagna settentrionale, si procurò molti trattati arabi in traduzione latina e “lanciò” l’insegnamento dei primi rudimenti delle scienze (allora “filosofia naturale”) nelle scuole più alte del tempo, quelle annesse alle cattedrali europee: Colonia, Utrecht, Sens, Cambrai, Chartres, Laon, Auxerre, Rouen. Fino alla nascita delle università, sul finire del dodicesimo secolo, queste scuole furono i più importanti centri culturali dell’occidente. A partire dal 1200, le università di Bologna, Parigi e, probabilmente Oxford, da poco istituite, divennero rapidamente centri fiorenti di cultura e raccolsero l’eredità delle ormai sorpassate scuole cattedrali. Nell’ambito delle università iniziò un tumultuoso quanto affascinante processo di definizione degli ambiti propri di ciascun sapere. Fino ad allora, infatti, non era ben chiaro quali fossero i confini delle competenze della teologia, della filosofia, delle scienze naturali. Soprattutto a Parigi l’atmosfera divenne ben presto incandescnte. I filosofi erano schierati contro i teologi e viceversa. La lotta era condotta senza risparmiare colpi. Quando la misura fu colma, intervenne, con tutta la sua autorità, il vescovo di Parigi Etienne Tempier, che emanò una condanna di ben 219 proposizioni, tratte da molte fonti e condivise da molti turbolenti sostenitori. Era il 1277. Alcune delle proposizioni condannate erano di provenienza aristotelica e riguardavano il mondo e l’onnipotenza divina. Come spesso accade, dalla condanna trassero beneficio coloro che si erano mantenuti in posizione defilata nella controversia: gli studiosi della natura, che incominciarono così a scrollarsi di dosso le ipoteche della meccanica e della fisica aristoteliche. Ingegni di primo ordine come Giovanni Buridano, Nicola Oresme e Alberto di Sassonia misero in dubbio la meccanica di Aristotele giungendo, ad esempio, a definizioni corrette di velocità uniforme e di moto uniformemente accelerato. E così, dai membri del Merton College fu derivato quello che è conosciuto come teorema della velocità media. Molti di questi nuovi impianti teorici furono utilizzati di sana pianta da Galileo. Per questo è più giusto considerarlo come uno che conclude un lungo processo di distacco dalla fisica aristotelica piuttosto che uno che inventa una scienza ex novo. Dalle poche note storiche che ho tratteggiato qui sopra risultano evidenti due aspetti della questione. Il primo è che la scienza moderna europea è nata e si è sviluppata nell’alveo della cultura teologico-filosofica cristiana godendo di quel processo di differenziamento che ha portato alla definizione dei diversi ambiti culturali. Il secondo è che, pur tra inevitabili frizioni e reciproche difficoltà, il dialogo tra uomini di scienza e istituzioni cristiane non è mai stato interrotto ed, anzi, è sempre stato fonte di reciproco arricchimento. Tutto ciò, evidentemente, è stato reso possibile da alcuni capisaldi della dottrina cristiana come quelli che riconoscono la trascendenza di Dio, la linearità della storia, la piena autonomia e responsabilità umane. Sarebbe troppo lungo, qui e ora, affrontare questi aspetti del problema. Non è escluso, però, che ce ne potremo occupare in futuro.
Dialogo tra scienza e cristianesimo: fonte di reciproco arricchimento
RADICI CRISTIANE DELL'EUROPA / 7 L'intervento di Carlo Cirotto
AUTORE:
Carlo Cirotto