Il pellegrinaggio dei Vescovi umbri a Torino (5-6 maggio) per l’ostensione della Sindone ha avuto un preludio presso quella che è probabilmente la chiesa più suggestiva del Piemonte: la Sacra di San Michele, che domina la Val Susa dalla sua altitudine di 1.000 metri.
“Siamo – ha detto il card. Bassetti– in un’abbazia benedettina [ora affidata ai Rosminiani, ndr], e noi veniamo dalla terra umbra che ha dato i natali a san Benedetto da Norcia. Non ci stanchiamo di ringraziare il Signore per averci donato questo grande Santo dell’Occidente, il padre spirituale dell’Europa, che ha edificato tante abbazie in tutto il Continente”.
Nell’introdurre la celebrazione eucaristica, mons. Giuseppe Piemontese ha ricordato il legame della Sacra di San Michele con Monte Sant’Angelo, suo paese di origine, dove si trova la grotta dell’Apparizione dell’arcangelo avvenuta nell’anno 490 al vescovo di Siponto.
Da parte sua mons. Renato Boccardo, originario proprio della Val Susa, ha sottolineato l’importanza storico-artistica e religiosa che la Sacra possiede da più di dieci secoli, trovandosi esattamente a metà dell’antica “Via micaelica” che congiunge Mont-Saint-Michel in Francia a Monte Sant’Angelo sul Gargano.
Poi, il ‘faccia a faccia’ con l’Uomo della Sindone. Ad accogliere la Ceu a Torino c’era l’arcivescovo mons. Cesare Nosiglia. “È un segno molto bello – ha detto – per la nostra Chiesa piemontese questa vostra presenza alla vigilia del primo dei tre Laboratori in preparazione al V Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, che sarà ospitato a Perugia. Il tema che tratterà è molto interessante, è una riflessione di carattere storico-filosofico e socio-economico dell’umanesimo, integrata dall’aspetto del dialogo interreligioso, aperto anche ai non credenti”.
Colpisce – ha aggiunto – la partecipazione delle famiglie all’ostensione: “È davvero emozionante vedere tanti genitori con i bambini raccogliersi in preghiera davanti alla Sindone. Per aiutare a leggerla meglio, in una dimensione di silenzio, viene proposto ai fedeli la visione di un filmato sui segni della passione di Cristo. È un’esperienza molto forte e significativa, e la gente esce con le lacrime agli occhi”.
Com’è andato il pellegrinaggio? “È un’esperienza personale – commenta mons. Benedetto Tuzia – nella quale ognuno si avvicina con un mondo proprio, ma anche un’esperienza di Chiesa in comunione. Come il Corporale che custodiamo a Orvieto, così la Sindone rappresenta una memoria preziosa, un privilegio e uno stimolo in più nel consegnarla agli altri come segno di fede e dell’amore di Dio.
Nel contemplare questi segni la fede ne esce stimolata, arricchita, e se ne trae un ulteriore beneficio. Sono stati due giorni di contemplazione, nei quali il silenzio coglie un po’ tutto. Davanti alla Sindone è come se noi fossimo esposti a Lui, e Lui si espone a noi, in una reciprocità ricca di messaggi perché il silenzio lascia spazio al discorso interiore di ognuno.
Per noi è stato bello vederci come Chiesa. Chiese poste nella contemplazione e nella ricezione di un messaggio, quello di un Uomo che mostra la sofferenza, assai diffusa nel nostro mondo e che chiede di essere intercettata. Un simbolo che invita a trattenere lo sguardo sull’Uomo del dolore, per aprirsi al dolore umano che si fa presente in tanti aspetti, in tanti volti di uomini e di donne che ogni giorno incontriamo.
L’Uomo del dolore, che richiama quelli di questo mondo, si coniuga con un forte sentimento di amore, vissuto fino in fondo. In questo si fondono l’amore più grande e il dolore più grande, che diventa lo scrigno del grande amore di Dio per noi. La contemplazione del dolore ci porta ad approfondire il senso dell’amore di Dio per noi, quell’amore che ognuno è chiamato a sprigionare da sé.
La Sindone rappresenta il volto di un Uomo che si è consegnato pienamente alla volontà del Padre, e che a noi richiama l’atteggiamento di affidamento e di farci custodire dagli altri”.