Cinque pani d’orzo e due pesci

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Vincenzo Paglia vescovo di Terni - Narni - Amelia XVII Domenica del tempo ordinario - anno B

Per cinque domeniche consecutive (dalla diciassettesima alla ventunesima), la liturgia domenicale interrompe la lettura continuata del Vangelo di Marco per far luogo all’intero capitolo sesto di san Giovanni. La ragione di tale inserzione risiede nella volontà di approfondire il tema del “pane” a cui è giunta la narrazione di Marco. Il capitolo sesto di Giovanni che si apre appunto con la narrazione della moltiplicazione dei pani. Giovanni introduce nella narrazione accennando alla consueta scena delle folle che si accalcano attorno a Gesù. Egli sale sul monte, circondato dai discepoli, e si mette a sedere, com’è di ogni maestro.

E guarda tutta quella folla: “Alzati quindi gli occhi, vide una grande folla che veniva da lui”. Dalle altre pagine evangeliche si intuisce che la gente stava volentieri con Gesù “a motivo dei segni che faceva”. Talora le persone erano così prese dall’ascolto delle sue parole da dimenticare persino di mangiare. E’ infatti lui, non i discepoli, ad accorgersi del bisogno di pane che la gente aveva. Gesù chiama Filippo (era di Betsaida e quindi pratico della zona) e gli chiede: “Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. Filippo, dopo un rapido calcolo, risponde che è impossibile trovare una somma adeguata di denaro per acquistare pane sufficiente per tutta quella gente. In effetti, la richiesta di Gesù era del tutto irrealistica.

Andrea, presente allo scambio di battute, prende qualche informazione e si fa poi avanti dicendo che ha trovato solamente un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci. Ma, con triste realismo, aggiunge: “Cos’è questo per tanta gente?”. Il discorso, per lui come per tutti i discepoli, sembra chiuso. La correttezza, il realismo, la praticità, la concretezza dei discepoli appaiono vincitori. L’unica cosa da fare, come si nota in un’altra narrazione, è mandare presto via tutti. Ognuno avrebbe potuto mangiare a casa propria. E non sarebbe stato colpa di nessuno se qualcuno sarebbe rimasto a digiuno. Non diciamo noi ancora oggi: ‘ad impossibilia nemo tenetur’? Ma sta anche scritto: “Quello che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio” (Lc 18, 27).

La nostra rassegnazione è sconfitta dalla potenza di Dio. E le Scritture sono piene dei miracoli di Dio. La scena tratta dal ciclo di Eliseo (il profeta successore di Elia nel secolo IX a.C.) ci mostra infatti un miracolo di una moltiplicazione dei pani ottenuto per misericordia dal Signore. Anche qui si parla di pochi pani d’orzo insufficienti per sfamare cento persone. Di fronte all’incertezza dell’uomo che aveva i venti pani il profeta insiste “Dalli da mangiare alla gente. Poiché cosi dice il Signore: ‘ne mangeranno e ne avanzerà anche'”. E così avvenne. La memoria di queste Scritture avrebbe certamente aiutato la poca fede dei discepoli perché Gesù intervenisse. Ben diverso fu l’atteggiamento di Maria a Cana di Galilea quando intercedette presso Gesù perché quei due giovani sposi non vedessero rovinata la loro festa. Gesù, che confida totalmente nel Padre, sa bene che “tutto è possibile a Dio”, ed inoltre non è abituato a mandare indietro nessuno.

È quanto accade in questa scena evangelica. Senza che i discepoli comprendano, anzi contro ogni ragionevolezza, Gesù ordina di far sedere la gente sull’erba. “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare”, canta il Salmo 23, quasi prevedendo questa splendida scena. Quando tutti sono seduti sull’erba, egli prende il pane e, dopo aver ringraziato Dio, lo distribuisce a tutti. A differenza dei Vangeli sinottici, ove sono incaricati i discepoli, qui è Gesù stesso che prende i pani e li distribuisce. Senza dubbio l’evangelista vuole sottolineare il rapporto diretto, personale e immediato, che c’è tra il pastore e le sue pecore. Anche qui il salmo responsoriale viene in aiuto alla nostra preghiera: “Gli occhi di tutti sono rivolti a te in attesa e tu provvedi loro il cibo a suo tempo. Tu apri la tua mano e sazi la farne di ogni vivente” (Sal 144, 15-16). Tuttavia Gesù non agisce dal nulla. Ha bisogno di quei cinque pani d’orzo (il pane di orzo era il pane dei poveri, non il migliore, ossia quello più saporito e più ricco). Ed e con questi pani poveri che sfama cinquemila persone (tante erano sedute sull’erba).

Basta il poco che abbiamo (quel poco d’amore e di compassione, quel poco di beni materiali, quel poco di disponibilità, quel poco di tempo) per sconfiggere la fame; sia quella del cuore che quella del corpo. Il problema è mettere quel “poco” che abbiamo nelle mani del Signore, e non rigirarcelo tra le nostre mani avare per trattenerlo. Le riflessioni in proposito sarebbero numerose. Quante persone si potrebbero salvare dalla fame con i “cinque pani d’orzo” (quel che si butta via) del Nord ricco di questo mondo!

E quante persone sole, malate, tristi, abbandonate, troverebbero consolazione e conforto se noi dessimo almeno un poco di tempo e di cuore stando loro vicini! E si potrebbe continuare. C’è bisogno di moltiplicare la carità, di allargare la compassione, di andare incontro a chiunque ha bisogno di aiuto. L’evangelista nota che, dopo aver mangiato, tutta la folla restò ammirata per quello che Gesù aveva fatto, al punto che volevano proclamarlo re. Ma egli fuggì di nuovo sul monte: non voleva svilire l’urgenza del bisogno del pane che non passa, ossia del bisogno di un rapporto affettuoso e duraturo con il Signore. E noi con Gesù, sul monte, continuiamo a pregare: ‘Dacci oggi il nostro pane quotidiano!’.

AUTORE: Vincenzo Paglia