Come in un’abside d’oro

DON ANGELO fanucciIo lo credevo un aggettivo solo ornamentale, quel “pasquale” che nelle celebrazioni dell’attuale tempo liturgico è sempre in coppia col sostantivo “fede”. “Fede pasquale”. Come “gioia natalizia”, o “impegno quaresimale”: aggettivi che non dicono nulla di più di quello che dice il sostantivo. E invece quel “pasquale” è un aggettivo qualificativo nel senso più… qualificante della parola, conferisce al sostantivo “fede” un formidabile valore aggiunto. Rileggetevi -please!- il vangelo del giorno di Pasqua. Maria di Magdala, all’alba, ha trovato il sepolcro vuoto e, angosciata, è corsa a dire ai discepoli che hanno portato via il corpo del Signore. Pietro è subito scattato dai blocchi, altrettanto ha fatto Giovanni (ammesso che sia lui “il discepolo che Gesù amava”); poi la giovinezza ha avuto la meglio e il figlio minore di Zebedeo è arrivato per primo al sepolcro, ma ha atteso Pietro ed è entrato nella cella dopo di lui. Vuoto, desolatamente vuoto, formidabilmente vuoto. I teli corporali e il sudario ripiegati a parte. No, non c’è stato nessun trafugamento. Allora il discepolo “vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.

Quel “credette” e quell’“infatti” cozzano come due giovani caproni bellicosi. Non so che ne pensano i biblisti, ma io credo che, invece che “credette”, bisognerebbe tradurre “cominciò a credere”: è un’intuizione da prete di campagna, ma suffragata dalla scarsa confidenza che con i verbi servili hanno le lingue dal lessico povero, come l’ebraico coi suoi miserelli 7/8.000 vocaboli (contro i 40/44.000 del greco, del tedesco o dell’italiano). Il fatto è che il discepolo che Gesù amava non aveva capito che l’evento della morte e della risurrezione del Figlio di Dio era già stato tutto scritto, nella sua sostanza, in quel fiume carsico della rivelazione che è la Scrittura, quasi una telecronaca criptata della storia della salvezza. Adesso il discepolo comincia a credere, oggi pomeriggio prenderà in mano la Scrittura e leggerà: e si renderà conto che, avulsa dalla storia della salvezza la croce si riduce a pura barbarie, e fuori di quel cerchio magico la resurrezione va bene come botto finale dei fuochi artificiali paesani. Se la nostra visione non si allarga, come un mosaico d’oro in un catino absidale grande quanto il mondo, ad abbracciare tutta insieme la salvezza del mondo attraverso la chiesa che s’arrende alla potenza del Padre, s’impasta nella compassione del Figlio e brucia al fuoco dello Spirito, se questo non accade noi facciamo un cattivo servizio alla fede che professiamo. E se non amiamo visceralmente i nostri fratelli uomini, tutti, gli assassini dell’Isis non meno dei bambini che lottano contro il cancro, e se non troviamo le scuse sufficienti per riuscire a dire anche noi la bugia che Gesù gridò sulla croce (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”) noi non facciamo un buon servizio alla fede che professiamo.

AUTORE: Angelo M. Fanucci