La Domenica della Palme m’ha sempre posto un grande problema: come riuscire a leggere il Vangelo della Passione alla gente senza inciampare ogni tanto in un groppo alla gola. Mi succedeva da giovane, ogni tanto dovevo tossicchiare, da vecchio sperare che la parte assegnata al cronista sia abbastanza lunga da permettermi di riprendere fiato, inspirando aria come Maiorca prima del tuffo negli abissi. La domenica delle Palme non ho mai tenuto l’omelia. Mi sono sempre ricordato di come reagì Cicerone quando Giulio Cesare pubblicò il suo De bello gallico e lo intitolò Commentarii de bello gallico, cioè appunti, noterelle sulla guerra della Gallia, a uso e consumo dei Professori che poi (poi!) sulla loro base avrebbero scritto, in bella copia, linda e pinta, prima questo poi quello, le vicende vere e proprie di quella storia tremenda ed esaltante, che odorava di epopea e puzzava di macello; Cicerone mise tutti in allarme: è un inganno, vi prende per i fondelli, non v’azzardate a fare i boccoli ad uno scritto che è già una grande opera d’arte, altro che appunti!! Elevate all’ennesima potenza l’allarme lanciato dal vecchio trombone di Arpino, e vi sentirete dissuasi al punto giusto dall’azzardarvi a costruire un qualsiasi commento intorno alla lettura della Passione. È ammessa appena qualche parola di chiarimento, nulla più. Nella spettacolosa galleria di personaggi che affollano il racconto delle ultime ore di Cristo prima della resurrezione, fanno capolino, ma ognuna con un suo stigma incisivo, figure che incarnano tutta la gamma delle situazioni di vita, dall’oblatività sublime alla vigliaccheria più indegna; forse la cosa più saggia, o meno sciocca, è vestire i panni del centurione, nascondersi dietro la sua figura tozza e sgraziata, indossare a mo’ di maschera la sua faccia cotta dal sole e gremita di brufoli calcificati, usare l’afrore equino che egli emana tutt’intorno per proteggersi dalla tentazione del commento, parlare con la sua voce roca e sgraziata. Cinque parole sgomente: Veramente costui era il Figlio di Dio. Cinque parole sgomente. Cinque soltanto, e sgomente. Ma bastano a dare senso alla vita dei miliardi di esseri umani che viaggiano sulla faccia della terra, operosi come formiche, ciechi come talpe, secchi come la gola dell’Uomo dei Dolori. Non esiste acqua mista a fiele che possa placare quella sete.