“Nel momento in cui tutti i credenti sono invitati a uscire da se stessi, è assolutamente necessario che la famiglia riscopra se stessa come soggetto imprescindibile per l’evangelizzazione”: mi pare questa la più impegnativa delle affermazioni sulle quali Papa Francesco ha invitato tutti noi a dire la nostra. Lo ha fatto nell’impegnativo questionario che ci ha sottoposto in seguito ai non molti (ma comunque sempre troppi) “no”, “ni”, “distinguo”, “esco un momento” che hanno fatto seguito alla splendida e problematica – splendida perché problematica – Relatio ad Synodum del card. Walter Kasper.
La famiglia, soggetto imprescindibile di evangelizzazione. Senza lo specifico contributo che deve darla la famiglia, l’evangelizzazione non sarà mai quello che deve essere. Imprescindibile.
Quale spettacoloso cammino ha compiuto la nostra Chiesa nella comprensione progressivamente più profonda e più evangelica dell’istituto familiare alla luce della fede! Ricordo vagamente il prof. Lambruschini, alla Lateranense, che, con la sua abituale aria falsamente stanca, ci parlava in tono pacatamente distruttivo di certe concezioni del matrimonio che (dicebant) “è sacramento nella misura in cui è contratto”, dove “per contratto s’intende la cessione dei diritti sul proprio corpo al coniuge in vista della conservazione della specie”. Il primato della conservazione della specie, accanto all’idolatria dello sperma, era il macigno che, a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60 del secolo XX, affossava sul nascere qualsiasi discorso sulla famiglia che volesse ricordarsi del Vangelo. Se n’era accorto a suo tempo il Manzoni, che alla domanda sul perché ci fosse tanto poco sesso nel suo capolavoro, rispondeva: “Perché in giro ce n’è già quanto basta e avanza per la conservazione della nostra riverita specie”.
La famiglia, soggetto imprescindibile di evangelizzazione. Imprescindibile. Parlare di “rivoluzione copernicana”? Lo farei, se quell’immagine nobilissima, che a Galileo è costata qualche annetto di galera, non la massacrassero ogni giorno le sciacquine e i cavalier serventi dei talk show televisivi.
Parliamo allora di una luce nuova, nuovissima. Che ci costringe a rivisitare a fondo il rapporto tra il sacerdozio ordinato, proprio di noi che abbiamo ricevuto l’Ordine sacro, e sacerdozio dei fedeli, appannaggio di tutti i battezzati: sembra che quest’ultimo fosse una sottospecie dell’altro.
Gnaffe. Il sacerdozio ordinato è essenzialmente un sacerdozio ministeriale, dove l’aggettivo mantiene tutta la carica del sostantivo dal quale proviene: ministerium, servizio. Il servizio, il sostegno alla calibratura corretta e all’impiego quotidiano del triplex munus che il sacerdozio dei fedeli assegna a tutti i battezzati è uno dei compiti essenziali del sacerdozio ordinato.
E accanto a questo ribaltamento teologico, urge un ribaltamento liturgico.
Rivoluzione che può, e deve, scaturire da un “ribaltamento liturgico”, che può e deve essere accompagnato da una consapevolezza “culturale”, individuale e
comunitaria.
Intendo, con questo, la necessità, sottolineata da Gesù, di una “conoscenza”, nella Luce dello Spirito, dell’unico vero Dio e di Colui che il Padre ci ha mandato, suo Figlio.
Conoscenza nello Spirito, che scaturisce dalla preghiera, dall’ascolto della Parola e dalla frequenza all’Eucaristia, ma anche da una “conoscenza umana e razionale”, pur nei suoi evidenti “limiti”.
La nostra, ad ogni livello (in particolare di Parrocchia), è anche crisi di sufficiente e adeguata “cultura cristiana”, cioè di “consapevolezza”.