Il fisioterapista che viva in modo decente la sua fede in Cristo deve sempre tenere presente che la risurrezione è l’alfa e l’omega della riabilitazione.
L’alfa: in fondo il vero e definitivo “terapeuta”, l’onnipotente “riabilitatore” è sempre e solo il Padre, colui che ha risuscitato Gesù dai morti, e in tal modo chiama ogni uomo a una pienezza di vita oltre quella misteriosa barriera, quell’handicap universale, che è la morte.
L’omega: il fatto che – nonostante l’impiego di tutte le risorse – a un certo punto le possibilità riabilitative tocchino un limite insuperabile non significa che si interrompa da ogni punto di vista l’opera di promozione della persona. Anzi, si può dire che proprio allora comincia il tempo più importante: è il tempo del coraggio e della speranza; il tempo dell’umile accettazione della propria condizione umana; il tempo della fiducia in Dio e dell’obbedienza al disegno misterioso del Padre; il tempo della scoperta di nuove – e inaudite – dimensioni della vita, di nuove forme di comunicazione.
L’ultima delle tre parole programmatiche che la cultura medica avanzata ha pensato per intervenire nella situazione dell’handicappato è socializzazione.
Su questo piano il terapeuta cristiano, come d’altronde il cristiano in genere, ha solo un impegno: quello di essere se stesso. Sul piano teologico, si è cristiani nella misura in cui si crede nel Dio Padre e in Gesù suo Figlio. Sul piano antropologico, si è cristiani nella misura in cui ogni uomo è persona, cioè un centro intangibile, definitivo, non quantificabile, di dignità assoluta.
Ma la persona, soggetto singolare e irripetibile, “è fatta per comunicare, è chiamata dall’intimo di sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli altri”: così si esprime La verità vi farà liberi, il prezioso e troppo poco utilizzato Catechismo degli adulti che i nostri Vescovi ci hanno messo in mano nel 1995, dopo averlo prelevato dalle mani di Ennio Antonelli. Al n. 1097 leggiamo (citando la Christifideles laici di Giovanni Paolo II): “Dio, creando l’uomo, non l’ha creato solitario: l’uomo per sua intima natura è un essere sociale”. È troppo poco dire “quanto sono belli i rapporti sereni con gli altri”: troppo poco, perché senza rapporti con gli altri l’uomo non può vivere né esplicare le sue doti. Per tutti gli uomini, la qualità dei rapporti fa la qualità della vita. E se questo è vero per tutti, lo è all’ennesima potenza per il soggetto debole a rischio di emarginazione.
“Uomo, sii ciò che sei”: e ciò che sei, nel tuo profondo, te l’ha detto il tuo Signore, creandoti totalmente bisogno dell’altro, come l’altro è bisognoso di te.