Ascoltando i servizi televisivi e leggendo i giornali, si rimane con il “fiato sospeso” (titolo dell’Osservatore Romano) perché, se non si firma un accordo tra filo-russi e filo-europei ucraini, si rischia la guerra nel cuore dell’Europa. “Putin più pericoloso di Milosevic”, “Putin: pronti alla guerra” (titoli da Il Sole 24 Ore), Obama pronto a inviare armi… Americani e europei non sono disposti a lasciare che la Russia ridisegni la carta geopolitica dell’Europa. Le forze in campo sono decisamente sproporzionate. In una eventuale, deprecabile guerra, il gioco è fatto. Ma non vogliamo lasciare i lettori con il “fiato sospeso”. Il Papa ha annunciato un viaggio a Sarajevo per il 6 giugno. Viaggio-simbolo della volontà di pace e riconciliazione tra popoli che si sono combattuti in una città martire, simbolo della più inaudita violenza. Mentre l’attenzione del mondo è sulle atrocità compiute dal terrorismo del sedicente Califfato islamico, rischiamo di ritrovarci in un conflitto che sarebbe tra cristiani (di maggioranza ortodossa). Il Papa l’ha detto: uno scandalo che vi sia odio e violenza tra cristiani, tra battezzati. Da ciò si vede che la religione rimane fuori dei conflitti (o è tirata in ballo strumentalmente), originati da altri fattori: interessi economici, difesa dell’identità nazionale, ricerca di un più ampio spazio di libertà e di nuove alleanze politiche. Purtroppo la religione rimane fuori anche dalla coscienza delle persone, soprattutto dei Capi dei popoli, che ragionano in termini di Realpolitik, mettendo da parte l’etica. In questi giorni le parti in conflitto si domandano infatti: quanto costa una guerra, chi se la può permettere? Non si domandano quante vittime potrà provocare, quante sofferenze di ogni genere a persone inermi, innocenti, vecchi, bambini, malati.
Papa Francesco si è espresso recentemente affermando che quando sente le parole “vittoria”, “sconfitta”, si sente male interiormente: “La vera parola è pace”. Intanto le vittime ci sono, e si moltiplicano giorno per giorno. Si calcola che vi siano già stati 5.000 morti e un milione di sfollati, mentre ogni giorno un tragico bollettino di guerra conta le vittime per attentati, incursioni, eccidi di civili da entrambe le parti. Tutto è iniziato tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, quando il Paese est-europeo si è spaccato tra quanti insistono per entrare nell’Ue e quanti vogliono rimanere legati a Mosca, per affinità linguistiche e culturali, e anche sotto il ricatto del prezzo del gas. Va anche detto sono tramontate le ideologie del nazionalismo e dell’imperialismo, per una visione più distaccata e “liquida” dei rapporti tra le genti nel vasto panorama della globalizzazione e nella prospettiva della comune interdipendenza dei popoli e delle nazioni. Le chiusure e le rigidezze idealistiche possono solo scadere nella pura utopia.
In questo scenario l’uomo della strada si chiede: cosa sta succedendo? Perché? Cosa si può fare? E risponde tra sé e sé: niente. Se è credente, dirà: non ci resta che pregare. Sfiduciato, sente che gli avvenimenti passano sopra la sua testa, vanno avanti secondo logiche che sfuggono e contraddicono il buon senso. Si domanda: perché gli uomini vogliono farsi del male a tutti i costi, quando di male ce n’è per tutti in ogni parte del mondo? Basti dare uno sguardo al fenomeno della malattia (oggi, 11 febbraio, è la Giornata mondiale del malato, voluta da Giovanni Paolo II nel giorno della memoria della Madonna di Lourdes) per far volgere l’attenzione verso tutti coloro – e sono tanti – che lottano contro il male fisico, psichico, morale, esistenziale. Un esercito ben equipaggiato a servizio di coloro che hanno bisogno di sostegno, cura, compagnia, comprensione. Sarebbe l’opera di un’umanità degna di questo nome; un’umanità che – aprendo un’altra finestra sull’oggi – dovrebbe sentirsi in profonda sofferenza a sapere che in questi giorni 29 persone sono morte dal freddo in un barcone in mezzo al mare. Che mondo è questo?