È un sabato speciale a Cafàrnao, città dove avvenivano importanti scambi commerciali tra Siria e Egitto, e che diventa il luogo abituale del ministero pubblico di Gesù in Galilea. Qui il Vangelo di Marco fa iniziare l’attività pubblica di Gesù, che in una sola giornata insegna, compie miracoli e prega. Dapprima insegna: entra nella sinagoga, dove ci si riuniva ogni sabato per pregare e leggere le Scritture. Tra quanti potevano frequentare la sinagoga e prendere parola per esortare o insegnare, c’era anche Gesù. Il quale suscita un certo stupore tra i convenuti: dimostra infatti un’autorità che sembra provenire da fuori, dall’alto, non dalla tradizione.
Sembra avere confidenza e intimità con quelle antiche parole della fede di Israele, più di quanta ne avevano coloro che si appellavano “dottori”: non dice nulla di scorretto, conosce bene quei testi e le abitudini interpretative dei teologi del tempo. Eppure, si avverte nelle sue parole una novità, qualcosa che oltrepassa l’immediata comprensione di chi lo sta ascoltando. Per accogliere questa novità occorre pazientare e preparare il cuore e la mente di chi ascolta: per questo Gesù inizia insegnando, per preparare la mente a comprendere la novità e il mistero dell’Incarnazione che lui stesso testimonia. Insegnando, Gesù deve portare alla luce pensieri impliciti, già insiti nella storia di salvezza contenuta nei testi sacri ma bisognosi di un’ermeneutica genuina e capace di dare conto di un Dio che si fa Uomo.
Il tempo che Gesù passerà a insegnare sarà tutto orientato a questo sforzo pedagogico, colmo della pazienza di chi sa che non è facile, per molti, ammettere la possibilità di un’ulteriore interpretazione. Gesù deve convincere che le interpretazioni possono essere formalmente corrette, ma ciò che conta non è la forma bensì la sostanza di ciò che si insegna: conta aprire nella mente uno spazio per il mistero di un Dio incarnato che si svelerà sulla croce. Soltanto questa sarà la giusta interpretazione. Gesù insegna per dare i criteri con cui rendere più semplice accogliere la sua persona, in continuità con l’antica Alleanza. Spesso anche a noi accade di smarrire la fede dentro il nostro modo di capire la fede stessa: così non comprendiamo la Chiesa, non comprendiamo il Papa, non comprendiamo i fratelli, non comprendiamo il Vangelo.
Non capiamo, non per la debolezza dell’affetto verso tutto questo o per la pochezza della nostra volontà di aderire a Cristo. Non capiamo, piuttosto, per la debolezza dell’intelletto, che vorrebbe chiudere in pensieri ristretti l’ampiezza insondabile della verità di Gesù. Di fronte a questa occorre dapprima ascoltare, accogliere, lasciare che la voce di Gesù lavori in noi: poi è possibile capire. Si apre dunque la seconda scena del Vangelo di Marco: Gesù guarisce l’indemoniato.
È il primo esorcismo con cui Gesù inaugura la sua attività miracolosa. Gli spiriti immondi gli obbediscono: questo mostra la sua autorità, ne è la prova. Ma come è possibile che, prima ancora dei fedeli in sinagoga, siano gli spiriti immondi a riconoscere Gesù? Come è possibile che con la verità abbiano più confidenza gli spiriti immondi che gli esseri umani? Lo spirito del male – immondo non per un’impurità fisica ma per la sua avversione a Dio – dichiara in poche parole tutto ciò che occorreva sapere: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!”. Forse pronunciandone il nome, “Gesù Nazareno”, vuole cacciarlo, poiché sa che Gesù è lì per la rovina del demonio. Gesù è il Santo di Dio, colui che Dio ha mandato come superiore a ogni profeta e a ogni altro uomo. Gesù, però, come tante altre volte accadrà nel corso del suo ministero, gli impone di tacere; come tante altre volte non vuole che si comunichi questa verità, che ancora troppi non potevano capire. Non poteva essere il demonio a svelare la verità, poiché la verità nella bocca del male non può essere compresa.
Gesù sa che la verità va comunicata al momento giusto, al tempo opportuno; il demonio invece vuole che Gesù fallisca, anticipa e grida chi è Gesù perché possa insinuarsi il dubbio e la paura tra i presenti. Ne facciamo esperienza anche noi, ogni volta che non facciamo conoscere Gesù ma ne diamo una descrizione “vera”. Ovvero una descrizione corretta, valida, coerente con la fede cristiana, ma incapace di portare Gesù a quanti non lo hanno ancora conosciuto, a quanti non hanno né il cuore né la mente sufficientemente “irrigati” per poter accogliere questo mistero. Diceva Ruggero Bacone, francescano vissuto nel XIII secolo, che occorre stare molto attenti nel non cadere in questi errori: ne va della fede di coloro che sono lontani o indecisi, e di questa fede mancata potremmo essere noi i responsabili.
Questa dinamica può capitare anche in famiglia: quando qualcuno è più avanti nel cammino di fede, si fa sentire l’altro in errore e non si vive l’amore di Gesù in comunione con l’altro. Gesù impone al demonio di smettere di parlare, e vince, ottenendo immediatamente la liberazione dell’indemoniato. Lo stupore dei presenti è enorme: non tanto per l’esorcismo, ma per l’efficacia del comando di Gesù, che doma la prepotenza del demonio e svela la propria radice divina.