Giovani vandali senza più il senso del Sacro
I fatti avvenuti nel periodo delle festività natalizie
Le festività natalizie hanno visto succedersi atti di vandalismo ai danni di oggetti sacri. Un esempio su tutti, il furto del Bambinello, a santo Setfano, dal grande presepe allestito dalla Caritas diocesana in piazza IV Novembre a Perugia; i responsabili sono stati riconosciuti in due studenti universitari fuori sede.
Invece in via Tilli, zona Cortonese, è stata colpita da atti vandalici la statua della Madonna a cui è stata dedicata da anni una piccola edicola nei giardini condominiali. I vandali hanno buttato in terra e spaccato la rappresentazione della Vergine, e ci hanno orinato sopra.
La notte fra il 3 e 4 gennaio è stato imbrattato a pennarello e trafugato, di nuovo, il Bambinello di piazza IV Novembre. I responsabili, due studenti di 23 e 24 anni, si giustificano definendo l’atto “una goliardata”.
“Il buio della notte è solo un colore del cielo”
I recenti atti di vandalismo contro statue e immagini sacre ci offrono lo spunto per porre alcune domande più ampie sul rapporto dei giovani con il Sacro. Le abbiamo fatte alla dott.ssa Laura Dalla Ragione, psicoterapeuta.
Cosa può spingere un giovane a compiere atti di vandalismo come questi?
“Il vandalismo è indicatore di una disaffezione verso le persone e le cose, che perdono la loro dimensione sacra. Così come scompaiono gli ideali, anche gli oggetti, nel consumismo, perdono la loro dimensione simbolica. Ecco allora il desiderio di distruggere oggetti che appartengono al Sacro: atti che esprimono la fine del Simbolico, dimensione senza la quale però l’essere umano non può vivere. Oggi la dimensione del Sacro non è completamente persa nei giovani, ma si è sicuramente allontanata dal loro orizzonte”.
Ma se si perde la dimensione del Sacro, quali altri valori restano ai giovani?
“Sicuramente questa è un’‘epoca delle passioni tristi’, come dice il titolo di un bellissimo libro. L’essere umano può sopravvivere al dolore, alla sofferenza più inaudita, ma non può vivere nell’insignificanza, che diventa per lui intollerabile, dis-umana. E la dimensione simbolica fa parte della costruzione di questa rete di significati che appartengono a ognuno di noi, ma anche a tutti. Il valore del Simbolico è indispensabile per costruire la rete della comunità, il senso dell’appartenenza. E oggi sicuramente c’è una enorme difficoltà nei ragazzi – per fortuna, non in tutti – a costruire un sistema valoriale, ideale, che si differenzi da quello dell’adulto”.
Per questo è necessario organizzare corsi per diventare genitori, come “L’importanza di chiamarsi genitori” a cui sta prendendo parte?
“Sì, credo che oggi più di ieri sia necessario aiutare la genitorialità, sopratutto nelle domande che questo compito ci pone. Ad esempio, quanti genitori, nel passato, si ponevano la domanda di felicità rispetto alla vita dei propri figli? Su altre dimensioni si giocava la partita delle attese e delle disillusioni genitoriali: gli studi, il lavoro, il matrimonio… Oggi, l’impalcatura è cambiata. La felicità sembra essere diventata condizione sufficiente a garantire il senso della propria vita. Quindi, oggi la prima delusione vera per un ragazzo diventa una catastrofe intollerabile. Allora, come genitori, come educatori, dovremmo insegnare ai ragazzi che ogni felicità conosce la sua ombra, il segreto sta nell’accettarla. Perché, in fondo, il buio della notte è solo uno dei colori del cielo”.
Se ne parla in oratorio
Gli atti di vandalismo avvenuti nel corso delle festività natalizie appena trascorse – che hanno visto come protagonisti anche dei giovani – hanno spinto molti di quanti operano tutti i giorni al fianco dei ragazzi a porsi e porre delle domande. È il caso dell’oratorio “Giovanni Paolo II”, in cui ruotano almeno 180 tra ragazzi delle medie e adolescenti delle parrocchie di Ponte della Pietra, Prepo e San Faustino. Nel corso della settimana appena trascorsa, a pochi giorni di distanza dai fatti di cronaca sopracitati, gli educatori dell’oratorio – tra cui Simone Biagioli, coordinatore delle attività e progetti – hanno deciso di parlare ai ragazzi proprio di questi avvenimenti.
Simone, perché questa idea e qual è stata la reazione dei ragazzi?
“Innanzitutto, abbiamo voluto essere in comunione con la Chiesa diocesana e abbiamo recitato il rosario come preghiera di riparazione. Poi abbiamo voluto raccontare ai ragazzi i fatti: il furto del Bambinello del presepe della Caritas, ma anche la distruzione e profanazione della statua della Madonna di via Tilli. I ragazzi sono stati particolarmente attenti, ascoltavano a occhi sgranati, anche perché non conoscevano questi fatti. La loro prima parola è stata ‘dispiacere’, cioè amarezza, il sentirsi feriti di fronte a questi gesti. Specialmente nel caso della Madonna di via Tilli c’è stato da parte loro un giudizio tagliente e una condanna forte, forse anche maggiore di quella di noi adulti”.
I ragazzi non conoscevano i fatti? Come è possibile?
“Sì, infatti, questo è un grande problema. Intorno ai nostri ragazzi non c’è quel terreno fertile capace di educarli, o anche solo di informarli, di fargli porre l’attenzione su ciò che davvero importa. La loro disinformazione ci ha molto colpiti. Ma cos’altro potremmo aspettarci? La famiglia non informa più, i genitori sono spesso del tutto disinteressati a ciò che accade e che riguarda i loro ragazzi: sono tutti concentrati a riempire la dimensione materiale e non quella spirituale. La scuola e la società civile, invece, sempre più spesso, sono occupate a dis-informare”.
C’è quindi il rischio che nei giovani si perda del tutto la dimensione del Sacro?
“No, non credo. C’è nei giovani, comunque, una sete nei confronti del Sacro che non si è spenta, perché è sete di conoscere se stessi, di andare oltre, alle domande fondamentali della vita. Il problema, quindi, non sono i ragazzi ma noi adulti, che stiamo spegnendo questa fiamma della ricerca, trasmettendo loro il messaggio che la ricerca del Sacro non è importante. Di conseguenza si perde anche quel ‘timor di Dio’ che caratterizzava l’atteggiamento di rispetto nei confronti degli oggetti sacri. È un problema antropologico, prima ancora che teologico”.