Un amico mi ha recentemente confidato di essersi trovato a constatare che una certa persona chiamata a deporre su un fatto, sotto giuramento, ha giurato il falso. Ne è rimasto scosso e incredulo. Un altro mi ha detto che, da quando ha visto che una certa notizia riportata su un giornale era – per sua diretta conoscenza – completamente stravolta e inventata, ha smesso di leggere i giornali. Fatti isolati, si dirà. Ma a pensarci bene, forse, di affermazioni false se ne fanno molte da molti in molti modi e in moltissime occasioni. Ultimamente sono saltati fuori i falsi certificati di malattia, ma poi ci sono i falsi invalidi, i falsi fallimenti, le false promesse, le false dichiarazioni per ottenere finanziamenti e fare spazio alla corruzione, i falsi in bilancio e così via, fino alle parole più che false, offensive come i “vaffa” sparati qua e là, divenuti la base “culturale” di vari partiti.
In questa categoria troviamo le vignette denigratorie, le ingiurie minacciose e intimidatorie, e potremmo mettere anche i discorsi e le dichiarazioni di tanti politici che usano la parola solo come arma contro l’avversario di partito o contro una “parte del partito”, come quando inventano migliaia di emendamenti su proposte di leggi solo per protesta. La parola è ammalata, si è corrotta, serva della menzogna, più che sincera e limpida voce della verità. Intendiamoci: è stato così fin dal principio, basta leggere il terzo capitolo del libro della Genesi, ma sappiamo le conseguenze. Vi sono parole che costruiscono e altre che distruggono. Si deve scegliere. Oltre alla parola in sé e per sé, vi sono sempre più oggi i media, vecchi e nuovi, dove le parole si sprecano, si sbriciolano, si rimbalzano, si enfatizzano, si distorcono, rimbalzano da un angolo del pianeta fino al lato opposto e possono produrre effetti, in altri tempi, impensati.
Un esempio: si pubblicano le famose o famigerate vignette in un giornale a Parigi, e si risponde a Grozny, in Cecenia, con grandi manifestazioni di protesta. Nel Niger, sempre per protesta, solo nella città di Niamey sono state incendiate 45 chiese, una scuola, un orfanotrofio e centri commerciali non musulmani, e sono state indette tre giornate di lutto con violenze che hanno provocato 10 morti (Osservatore Romano del 21 gennaio). Si dirà: non esageriamo. La reazione va molto al di là della provocazione, come è andata fuori strada con la strage di Parigi. Ma ancora una volta di deve dire che la parola deve fare i conti con l’ignoranza, con il pregiudizio, con l’assenza di buon senso e di gerarchia di valori. La parola non è tutto: c’è il contesto in cui si pronuncia, la possibile strumentalizzazione, il tono con cui si dice e lo stile letterario, da decifrare con intelligenza. Per questo serve l’educazione all’ascolto, alla responsabilità. Chi informa o comunica con qualsiasi mezzo, lo faccia tramite un richiamo all’onestà intellettuale e morale di ognuno.
Su tale complessa e delicata questione segnalo due iniziative: una che si è svolta il 15 e una che si svolgerà il 24 prossimo a Perugia (iniziative del genere sono presenti anche in altri centri dell’Umbria). La prima è la Giornata del dialogo tra ebrei e cattolici sul tema, svolto da un rabbino, sul Comandamento: “Non pronuncerai menzogna contro il tuo prossimo”. La seconda sabato 24, memoria di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, i quali – come avviene da molti anni – sono invitati a un incontro di riflessione e scambio di opinioni da parte dell’arcivescovo Bassetti. Sono due occasioni per richiamare al legame indissolubile della parola con la verità e la responsabilità, nell’intento di comunicare tutto ciò che alimenta il cammino umano e favorire la pace. All’inizio del bene e del male, c’è la parola.
“il pugno del Papa” questo era il sottotitolo della trasmissione televisiva mattutina di Omnibus su la 7. Queste quattro parole, estrapolate dall’intervista colloquiale di Papa Francesco con i giornalisti nel tappa di trasferimento in aereo dallo Sri Lanka alle Filippine sono state riportate e travisate da tutti i mass media come se il Santo Padre avesse veramente affermato “ex cathedra” che qualsiasi cristiano al quale viene offeso il nome della madre è autorizzato, anzi deve, prendere a pugni l’autore dell’ingiuria!
Chiedo scusa, monsignore, ma si può essere così imbecilli?