“Il Papa invita alla fraternità, a togliere le catene della schiavitù, in un mondo che ha bisogno, oggi più che mai, di riscoprire che è più necessario costruire ponti piuttosto che muri, pur nelle diversità. Oggi sembra invece che si vogliano mettere in evidenza solo le divisioni: basta il colore della pelle o un vestito per sentire l’altro diverso”. Così il neo-cardinale Francesco Montenegro, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni, presenta la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si celebra questa domenica, 18 gennaio, sul tema proposto dal Messaggio di Papa Francesco: “Chiesa senza frontiere, madre di tutti”.
Il Papa invita a rinunciare a qualcosa del nostro “acquisito benessere” per condividerlo con chi ha meno, come i migranti e i rifugiati. Ma in tempo di crisi il luogo comune è: “Loro vengono aiutati, noi no”.
“Dobbiamo stare attenti a dire queste cose, perché negli ultimi scandali abbiamo scoperto che gli immigrati servono per fare soldi. Non è vero che ci tolgono soldi, anzi, ci si arricchisce a loro discapito. I poveri continuano a essere strumenti nelle mani dei ricchi, per farli arricchire ancora di più. Non ricordiamo mai che in passato noi abbiamo colonizzato e sfruttato quelle terre, per questo ora vengono a ‘chiederci gli interessi’. A noi fa comodo dire che sono terre povere, perché le regole le dettiamo noi. Deve finire la mentalità colonialista: i Governi africani da chi sono sostenuti?”
Cosa risponde ai fedeli della sua diocesi, Agrigento, che non accettano la presenza degli immigrati?
“Proprio l’altra sera, in una parrocchia, qualcuno diceva che devono andare via. Io ho detto: va bene, mandiamoli via, ma allora mandiamo via anche tutti i preti africani – e tante parrocchie rimarranno senza parroco -; mandiamo via tutte le religiose che vengono da altre nazioni che assistono gli anziani, e ognuno se li riprende in casa propria. Mandiamo via i calciatori neri, i cantanti neri, e non paghiamo più i biglietti per andare a vederli. Se siamo coerenti e facciamo tutto questo, sono d’accordo. Ma io non posso cacciare chi arriva con i barconi e, al contrario, applaudire il calciatore africano. Purtroppo fa comodo creare guerre tra poveri. Questo è il gioco di Erode; quella storia non si è ancora conclusa”.
Lampedusa – che non accoglie più sbarchi – è un po’ dimenticata?
“Lampedusa sta in pace perché questa povertà si sta spalmando altrove. Era una situazione insostenibile per un’isoletta come Lampedusa, che non era in grado di supportare la presenza di centinaia e migliaia di persone. La terraferma garantisce un servizio migliore. Certo, i problemi degli isolani rimangono. Se una persona si deve curare o deve far nascere un bambino, deve andare a Palermo. Linosa, ancora peggio: d’inverno non arriva la nave, e se uno si ammala come fa? Ma non sono anche loro cittadini italiani?”.
Con la fine dell’operazione “Mare nostrum” non si capisce più bene cosa stia succedendo nei nostri mari: si vogliono salvare vite umane oppure no?
“Questo è il punto interrogativo. Ci lamentiamo perché l’Italia salva le vite degli immigrati, però ci riteniamo un Paese civile. Non so come si possa misurare la civiltà se, quando un uomo sta morendo, mi giro dall’altra parte. Se si dirà ‘morite perché noi dobbiamo difendere i confini’ sarà un problema per l’Europa. Se Frontex si rende conto che stare in mare significa anche salvare la gente, bisognerà cominciare ad attrezzarsi con leggi più idonee, mentre questo problema è ancora trattato come emergenza. È difficile, perché i poveri danno sempre fastidio, i poveri non danno voti. Purtroppo l’Europa è fondata sull’economia e non sull’uomo”.