Fabriano, città rinomata per la qualità della produzione della carta fin dall’età medievale, ospita fino al 18 gennaio l’interessante mostra “‘Da Giotto a Gentile’ pittura e scultura a Fabriano fra Due e Trecento” curata da Vittorio Sgarbi. Un’attenta visita nella elegante cittadina marchigiana, ci porta in un territorio apparentemente periferico, forse marginale rispetto ai tradizionali e acclarati circuiti del turismo culturale, che in realtà dimostra essere un vasto deposito di inestimabili capolavori artistici medievali, in gran parte poco noti e in molti casi sconosciuti.
La mostra indaga sui precedenti alla straordinaria fioritura artistica trecentesca, quando Fabriano deve essere considerata umbra a tutti gli effetti in virtù degli strettissimi legami con l’area di influenza longobarda, che vede in Spoleto la splendida capitale del Ducato. Consolidatosi il potere longobardo sulla città con l’affermarsi della famiglia gentilizia dei Chiavelli, nel corso del Trecento l’egemonia cultura dell’Umbria vedrà la sua totale affermazione, sia dal punto di vista artistico, sia sotto il profilo dei valori spirituali. La vicinanza con Assisi ed i ripetuti soggiorni di san Francesco contribuirono ad animare una vivace realtà di fede, che si avvalse della pittura come di un efficace strumento propagandistico ed educativo.
Tra le numerose opere provenienti dal territorio umbro, troviamo esposta la “Madonna in trono con il Bambino”, della Galleria Nazionale dell’Umbria. L’opera demaniata nel 1863 dal noviziato del Convento di San Domenico, fece allora ingresso nella Pinacoteca Civica, oggi Galleria nazionale dell’Umbria. Ricordata da Giorgio Vasari in San Domenico come “una tavola molto bella”, la commissione a Gentile da Fabriano sottolinea i legami militari e commerciali stabiliti tra Perugia e Fabriano nei primi anni del Quattrocento e ricorda i vincoli parentali e politici che legavano il pittore all’ambiente perugino e all’Ordine domenicano. La complessa iconografia che vede la sovrapposizione di temi quali l’Incoronazione della Vergine e la Madonna dell’Umiltà viene ribadita dalle numerose lodi a Maria incise sulla tavola: dall’Ave Maria dell’aureola, alle invocazioni presenti sul bordo del mantello, all’antifona mariana pasquale sul tetragramma sorretto dagli angeli. Il sorprendente trono attaccato da una lussureggiante vegetazione che ne mette in discussione la natura architettonica riporta poi, al tema nordico dell’hortus conclusus. Indice della conoscenza di oreficeria non solo veneziana ma anche boema e renana, è la raffinata tecnica della granatura scelta per delineare le figure di sei angeli in volo che incoronano la Vergine e che rendono il fondo oro vibrante di luce.
Per l’opera databile al 1411-1412, si sono ipotizzati i nomi di vari committenti, tra i quali quello del ricco cambiatore e operarius della chiesa domenicana, Matteo di Pietro Graziani, committente del vasto programma decorativo della Cappella di San Giacomo, che potrebbe essere stata ab antiquo il sito per la Madonna con il Bambino e gli Angeli musicanti.