Sarà pubblicato su Il Giornale dell’Umbria di domani, domenica 11 gennaio, questo breve commento ai fatti di Parigi, del direttore de La Voce nonché direttore del Centro ecumenico e universitario San Martino nel quale il dialogo con l’islam è iniziato negli anni ¡60, gli anni del Concilio Vaticano II.
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È sempre una buona regola di ricordarsi prima di parlare o di scrivere di farlo in modo da non offendere o disturbare l’interlocutore, ma è una situazione anomala e tragica doversi ricordare che da quello che scrivi può dipendere la tua vita. A questo siamo giunti ed è un buco nero nel tessuto della civiltà.
Le battaglie culturali e se si vuole religiose, si combattono con la cultura, con l’arma della parola e non con la parola consegnata alle armi. Sarà bene che qualcuno non si scordi che questo passaggio dalle parole ai fatti è stato proposto nella cultura occidentale. Ora succede che si abbia uno scontro di civiltà (Huntinghton 1996) che facilmente degenera nello scontro tra forme diverse di barbarie scaturite da vicendevole disconoscenza, equivoco e incomprensione.
Chi pensa di fare qualcosa di positivo per frenare la deriva verso una presunta guerra di religione non deve limitarsi a deprecare e lamentarsi ritenendo sufficiente che funzionino bene i servizi segreti e la repressione. I problemi sono più complessi e profondi, come complesso e difficile da comprendere è la gerarchia dei valori propria di un fedele dell’Islam, che non riesce a fare i conti con la modernità.
Al fondo si tratta di mettere in chiaro il valore e i limiti della libertà da una parte e i valori e i limiti della fede dall’altra.
La religione non è mai disgiunta dalla ragione e dal rispetto della dignità e libertà umana: “il Sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il Sabato”.
Quel Dio cui si appellano i terroristi non esiste se non nel loro delirante fanatismo.