La quarta domenica del tempo ordinario accoglie la memoria della Presentazione di Gesù al tempio. L’evangelista Luca, all’inizio della narrazione, si collega alla legge mosaica secondo la quale la madre, quaranta giorni dopo la nascita del primogenito, doveva presentarlo al tempio e offrire in sacrificio al Signore, per la sua purificazione, un agnello oppure una coppia di colombe. La consacrazione del primogenito (come di ogni primizia) ricordava a tutto il popolo d’lsraele il primato di Dio sulla vita e sull’intera creazione.
Maria e Giuseppe, pertanto, obbedienti alla legge di Mosè fecero quanto era prescritto e portarono Gesù nel Tempio per consacrarlo al Signore. Erano poveri e non potendo acquistare l’agnello per il sacrificio offrirono una coppia di colombe, in realtà essi donavano a Dio il “vero agnello” per la salvezza del mondo. La festa della Presentazione di Gesù al tempio è tra quelle – poche in verità – celebrate assieme dalle Chiese cristiane d’Oriente e d’Occidente. Di essa si ha memoria già nei primi secoli a Ge rusalemme (era chiamata il “Solenne incontro” una processione per le strade della città ricordava il viaggio della Santa Famiglia da Betlemme a Gerusalemme con Gesù appena nato. Ancora oggi la santa liturgia prevede la processione, cui, si è aggiunta, dal X secolo, anche la benedizione delle candele, che ha dato il nome popolare di “candelora” a questa festa. La luce che viene consegnata nelle nostre mani ci unisce a Simeone ed Anna che accolgono il Bambino, “luce che illumina le genti”, come canta Simeone riprendendo le parole del profeta Isaia nei capitoli 42 e 49 sul Servo di Jahvè. E’ piccolo Gesù, ha appena quaranta giorni, e subito si reca a Gerusalemme.
È il primo viaggio, ma già prefigura l’ultimo. Tornerà nella città santa al termine della sua vita, ma non più offerto nel Tempio e non più posto sulle braccia di Simeone, sarà invece condotto fuori le mura della città e sarà inchiodato sulle braccla della croce. Oggi le braccia di Simeone lo prendono e lo stringono con affetto, ma nelle parole di questo saggio vecchio si delinea già il futuro del Bambino: “Sarà rovina e resurrezione per molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori”, e guardando la madre – quasi prefigurando la scena della croce – aggiunge: “Anche a te una spada trafiggerà l’anima”. Simeone, uomo giusto e timorato di Dio che “sospirava” il conforto d’Israele, “Mosso dallo Spirito, si recò nel tempio… prese il bambino tra le braccia e benedisse Dio”.
Come prima fecero Maria e Giuseppe, ora anche Simeone “prende il Bambino con sé” ed è riempito di una consolazione senza limiti tanto che dal suo cuore salì una tra le preghiere più belle della Bibbia: “Ora lascia, o Signore che il tuo servo vada in pace… perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti”. Era anziano Simeone, come pure la profetessa Anna (il Vangelo ne precisa l’età, ottantaquatttro anni). In essi sono rappresentati certamente tutto Israele e l’umanità intera, che attende la “redenzione”, ma possiamo vedervi anche le persone più avanti negli anni, gli anziani. Ebbene, Simeone ed Anna sono l’esempio di bella anzianità.
È sempre più facile nella nostra società scorgere anziani, uomini e donne, che ormai pensano con tristezza e rassegnazione al loro futuro; e l’unica consolazione, quando è possibile, è il rimpianto della passata giovinezza. Il Vangelo di oggi sembra dire a voce alta – ed è giusto gridarlo in questa nostra società fattasi particolarmente crudele verso gli anziani – che il tempo della vecchiaia non è un naufragio, una disgrazia, una iattura, un tempo più da subire tristemente che da vivere con speranza. Simeone ed Anna sembrano uscire da questo affollato coro di gente triste e angosciata e dire a tutti: è bello essere anziani! Sì, la vecchiaia si può vivere con pienezza e con gioia.
Certo, a condizione che si possa essere accompagnati, che si possa accogliere tra le proprie braccia un po’ d’amore, un po’ di compagnia, un po’ d’affetto. Il loro canto è inconcepibile ed incomprensibile in una società ove quel che solo conta è la forza e la ricchezza, ove quel che solo vale è la soddisfazione individuale a qualsiasi costo, ove il solo ideale è vivere per se stessi; sebbene proprio da questa mentalità – ma è questa la tragica contraddizione che pure viene supinamente accettata e sostenuta dalla maggioranza – che nascono le violenze e le crudeltà della vita.
Oggi, vediamo venirci incontro Simeone ed Anna, sono essi che ci annunciano il Vangelo, la buona notizia all’intera nostra società: un bambino, non forte né ricco, anzi debole e povero, può consolare, rallegrare e rendere persino operosa la vecchiaia. Così fu per loro. Non chiusero gli occhi sulla loro debolezza, sull’affievolirsi delle forze; in quel bambino trovarono una nuova compagnia, una nuova energia, un senso in più per la loro stessa vecchiaia. Simeone, dopo aver preso tra le sue braccia il Bambino, poté cantare il “Nunc dimittis” non con la tristezza di chi aveva sprecato la vita e non sapeva cosa sarebbe accaduto di lui; ed Anna, l’anziana, da quell’incontro ricevette nuova energia e nuova forza per lodare Dio e parlare del bambino” a chiunque incontrava. Ambedue, assieme al gruppo dei pastori e dei magi, furono i primi missionari del Vangelo. Questa pagina evangelica del “solenne incontro” tra un Bambino e due anziani rivela quanto sia Piena e gioiosa la vita: il Bambino, il piccolo libro dei Vangeli, posto nelle mani e nel cuore degli anziani opera ancora oggi miracoli incredibili.
La fragilità della vita, anche quella che giunge con il passare degli anni, non è una condanna quando si incontra con l’amore e la forza di Dio. Il Vangelo sa trarre energie nuove anche da chi il mondo sembra mettere da parte. L’età anziana può essere motivo di una nuova chiamata: basti pensare al tempo che si ha per pregare per la Chiesa, per la propria comunità, per il mondo intero, per invocare la pace o anche per visitare chi ha bisogno, e comunque per testimoniare la speranza nel Signore. Nessuno è escluso dalla gioia del Vangelo. E il miracolo che Gesù compie in chi lo accoglie tra le sue braccia.