E dunque Vito Mancuso, nel suo bel saggio su Il dolore innocente, ci ricorda che con l’Evangelium vitae il Papa ci ha invitati tutti a mettere (o a rimettere) al centro della nostra preoccupazione la vita. Non la vita spirituale, non la vita eterna; no: la vita. Anche la vita spirituale, la vita che nasce dall’alto e si affina al soffio dello Spirito; anche la vita eterna, il tempo che sfocia là dove perde il proprio peso provvisorio e acquista il suo senso definitivo; anche, ma prima ancora la vita. La vita tout court. La vita sine addito.Mi si dirà: ma l’Evangelium vitae è del 1995!! Già, ma la sottolineatura di Mancuso è recente, a me è arrivata di recente, e l’ho vissuta come una carezza inattesa su di una parte del corpo dolorante. La Comunità di Capodarco dell’Umbria, nella quale vivo da più di trent’anni, è una Comunità d’accoglienza. Le Comunità di accoglienza nacquero nella luce del Vangelo al servizio della vita, là dove la vita era maggiormente a rischio: disabili, ex carcerati, tossicodipendenti…; sulla scia del Concilio (1962 – 1965); come esplicita riproposta della Chiesa dei Poveri: Capodarco e Gruppo Abele videro la luce nel 1966. Le Chiese italiane vibravano su quella lunghezza d’onda; il loro primo Convegno, quello del 1976, fu sul tema Evangelizzazione e promozione umana. La promozione umana, la scelta dei poveri, la vita condivisa con loro: questa era la faccia luminosa che il vangelo assumeva ai nostri occhi. La dimensione propriamente evangelizzatrice, non venne abbandonata, ma fece un passo indietro e cambiò angolazione. La dimensione evangelizzatrice fece un passo indietro: quello che ci univa alla gente problematica con la quale condividevamo il cesso (così ci induceva a parlare la paura dell’evanescente “condivisione del cuore”) erano un ideale di giustizia e una prassi di solidarietà che per noi credenti avevano il volto di Dio, per alcuni di quelli che vivevano con noi no. La dimensione evangelizzatrice cambiò angolazione: la vera evangelizzazione – ci dicemmo – è sempre un rendere ragione della speranza che è in noi, che traspare dalla nostre scelte; e se questa speranza non traspare, l’evangelizzazione è una pretesa vuota, è come pestare l’acqua nel mortaio. Poi nella Chiesa italiana l’evangelizzazione chiese di nuovo il proscenio e noi piombammo nella penombra, chiedendoci: siamo ancora in linea col Vangelo? Alcuni tra i nostri compagni di viaggio non si fanno il segno della croce, non vanno a Messa,…: non è per caso che io stia vanificando il mio sacerdozio!? Capite perché ho parlato di una inattesa carezza da parte del Papa?