Osservando con animo distaccato ciò che avviene nel mondo e di cui la tv ci rende puntualmente e dettagliatamente informati, possiamo farci un’idea di quanta potenza distruttiva possieda l’odio. Si potrebbe dire che l’odio governa grandissima parte delle vicende del mondo, e da questa forte passione dipendono molto spesso le sorti dei popoli. Non mi riferisco alle stragi delle guerre del secolo scorso, come tuttavia si dovrebbe fare, data la mole di vittime che ha prodotto; e neppure alla guerra feroce che ha trascinato in una scia di sangue le popolazioni della ex Jugoslavia: memorie che dovrebbero sempre essere rievocate come deterrente contro la tentazione di scendere di nuovo in campo.
Mi riferisco all’attacco terroristico avvenuto a Gerusalemme, quando due palestinesi armati hanno ucciso quattro israeliani – tutti rabbini – in un luogo sacro, in cui gli ebrei si riuniscono per la preghiera, la sinagoga del sobborgo di Har Nof. I due terroristi non hanno avuto bisogno di entrare attraverso il Muro con sotterfugi o vie diverse, perché lavoravano in Israele e vivevano nel quartiere arabo di Gerusalemme Est. Erano forniti di armi da fuoco, asce e coltelli, e sono stati uccisi dalla polizia; due cugini che facevano parte del gruppo di prigionieri scarcerati nel 2011 dal governo di Israele per ottenere il rilascio di Gilad Shalit, tenuto in ostaggio per cinque anni.
È dato per scontato che Israele non farà mancare una feroce rappresaglia. L’odio crea odio, e la spirale dell’odio è incline ad aumentare, a sedimentarsi magari per un po’ di tempo, in attesa che emerga dalla sua tana per riesplodere in fatti di violenza distruttiva. Gerusalemme vorrebbe essere Città della pace, dove i popoli si ritrovano in un abbraccio fraterno, e dove soprattutto le tre religioni che lì si sentono a casa – ebrei, cristiani e musulmani – dovrebbero costituire una sola famiglia che ha per capostipite Abramo, padre della fede, uomo pacifico, obbediente a Dio, al Suo comando e alla promessa di divenire “padre di molte nazioni”. L’augurio che ogni giorno i cristiani ripetono nella liturgia delle ore è promessa e impegno: “Sia pace su Gerusalemme, sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi”. Il gesto criminale è stato rivendicato da Hamas, e molti gruppi organizzati e singoli cittadini musulmani hanno giustificato e inneggiato, mentre alcune voci musulmane si sono sollevate per scaricare la responsabilità del crimine, affermando che era la logica e necessaria risposta alla politica israeliana nei confronti dei palestinesi.
La confusione è al massimo grado, e non solo in quella parte del mondo. Se allarghiamo l’orizzonte, ecco tanti altri fronti aperti dove si costruiscono ragioni, occasioni, interessi propulsori di odio: orizzonti che noi consideriamo “lontani” solo per una “scelta di metodo”.
Ma se restringiamo il quadro e ci guardiamo attorno, non solo quando accadono omicidi ma anche nel giro delle nostre conoscenze, all’interno dei gruppi politici, delle organizzazioni finanziarie e delle stesse relazioni familiari, troviamo il rischio che covino odi pericolosi, se esplodono, e dannosi anche se rimangono in letargo. “In letargo” per modo di dire, perché, quando un uomo e una donna che si sono amati e sposati si separano e litigano tra loro, l’odio, pur ufficialmente sopito, si attiva in ogni modo, subdolo o palese, fino a provocare spesso la distruzione dell’uno o dell’altro, e spesso di ambedue.
Quando due genitori si odiano, i figli non sono più figli procreati e allevati per amore; saranno avvelenati con dosi giornaliere dai fumi di odio che provengono dalle parole e dai gesti. La potenza distruttiva dell’odio abbraccia e tende ad abbracciare sempre più l’universo umano. Il Papa che va a Strasburgo e in Turchia, a me oggi appare come un vigile del fuoco che va nel mondo per spegnere gli incendi, attuali o prossimi venturi, provocati dall’odio.