Diritto allo studio: ancora lontano l’aiuto alle famiglie

La nuova legge regionale punta su chi è svantaggiato ma con criteri troppo restrittivi

La legge per l’attuazione del diritto allo studio, approvata il 3 dicembre in Consiglio regionale, è nuova perché sostituisce la legge 77 del 1980, ma in realtà non porta sostanziali innovazioni per la generalità delle famiglie. Il Dirigente scolastico dell’Istituto parificato Leonino “Aldo Moro” di Terni, Gianni Colasanti, non esita a definire la legge “un testo assistenziale con caratteristiche decisamente ‘ristrette’ che prende in esame le condizioni ‘svantaggiate’ ma non considera i casi di normalità”. E dunque, aggiunge, “non prende in considerazione il diritto delle famiglie a essere messe in reale condizione di poter scegliere tra una scuola a conduzione statale e una a conduzione non statale”. Proprio in questi giorni sono arrivate alle scuole le comunicazioni sui criteri per l’assegnazione delle borse di studio regionali, comprese in questa legge ma disciplinate dalla legge 13 del 2000.Ebbene, commentano all’Istituto Leonino, ai contributi potranno accedere pochissime famiglie perché viene richiesto un reddito lordo annuo minore di 14.177 Euro, che vuole dire, pagata l’Irpef, non più di 851 Euro al mese: decisamente poco perché una famiglia possa viverci. “Insignificanti” sono anche i sussidi previsti per i figli che frequentano le elementari (150 Ero l’anno), le medie (205), le superiori (360). Piccole elemosine per famiglie povere. Anche per i contributi indiretti previsti nella legge, ovvero per l’esonero dal contributo di spesa per i servizi di mensa, trasporti o acquisto libri, a beneficiarne potranno essere solo coloro “che versano in condizione di particolare disagio economico”. Alle altre famiglie non resta che sperare nei Comuni che dovranno individuare le fasce di reddito in base alle quali richiederanno, per i servizi erogati, un contributo differenziato. Dalla Regione si aspettavano di più al “Leonino”, che in quanto “parificata” è una scuola gestita da privati, avvero non -statale, che rientra nel sistema nazionale di istruzione ma è sostenuta con le rette degli studenti. Gianni Colasanti avrebbe voluto “che si definissero le condizioni generali che il sistema formativo deve assicurare a tutti gli studenti” e che fossero “fissati gli standard dei servizi e di funzionalità che devono essere presenti sul territorio ed in base ai quali fare una programmazione”. Invece l’impressione è di genericità anche nelle indicazioni a province e comuni, poiché manca anche una mappa dei bisogni, senza la quale è difficile dire se saranno sufficienti le somme stabilite.Nel complesso sarebbero 2milioni e 500mila Euro per il comparto del diritto allo studio ha detto l’assessore regionale all’istruzione Gaia Grossi, assicurando, in aula, “grande disponibilità alle questioni poste in commissione, a partire dal prossimo piano di riorganizzazione della rete scolastica”. Che la legge non volesse riconoscere in alcun modo la parità fra istituti pubblici e privati è stato detto chiaramente in aula e ha esultato Stefano Vinti, capogruppo di Rifondazione comunista a palazzo Cesaroni, convinto che pur non concedendo nulla alle private la legge “si fa carico di salvaguardare i diritti e i servizi di tutti gli studenti della scuola umbra”. La legge è stata approvata con i voti di 15 consiglieri di maggioranza, sei gli astenuti, quattro i contrari. Vannio Brozzi, relatore di maggioranza, aveva ricordato che la Commissione del Consiglio che ha varato il disegno sottoposto all’assemblea, si era impegnata a tenere conto anche delle proposte pervenute da parte dei colleghi della Casa delle libertà, ed che alcune osservazioni erano state accolte. Insoddisfatto però Enrico Sebastiani, relatore di minoranza.”La grande sfida di una legge regionale sul diritto allo studio, – ha detto – si giocava sul poter contare su una sana concorrenza tra percorsi di istruzione sostenuti da soggetti statali e privati, che purtroppo non è stata colta. In Umbria la qualità della scuola è comunque buona, grazie anche alle iniziative delle singole istituzioni scolastiche ed alla passione dei docenti che hanno contribuito a creare in alcuni territori omogenei dell’Umbria, dei vari assi di sviluppo che pochi conoscono”. “La Giunta ha preferito monetizzare la scuola invece di puntare su una erogazione di servizi qualitativi” ha detto Fiammetta Modena (Fi), ritenendo che “la vera scommessa che può fare una Regione, in attesa di ulteriori nuovi compiti, sta nella verifica dei risultati prodotti nei tempi previsti dalla programmazione”.

AUTORE: Maria Rita Valli