L’ho fatta lunga con Elio de Barognola, l’amico che non c’è più, Elio Cecchetti all’anagrafe? Stavolta stringo, ma solo dopo aver raccontato il delitto che compimmo insieme.
Ancora 1974. Tocca a me il compito di trasportare sul monte Ansciano, a S. Girolamo, i 15 quintali di cemento che un giorno sì e l’altro pure ci regalano i Colaiacovo e i Barbetti. Il Ford Transit è gaiardo, ma – ahimé! – troppo largo: appena aggirata la scalea circolare della chiesa di S. Marziale, all’altezza della casa dei Minelli, sommi artigiani del legno a tarsie, il camioncino deve fermarsi: ambedue i suoi specchietti retrovisori toccavano il muro, da una parte l’abside della chiesa, dall’altra l’ultimo metro delle mura medievali, a filo con la casa dei Minelli. E io… prima spegnere il motore, poi ingranare la prima marcia, poi tirare il freno a mano, forte, come dovessi strozzare un bue, poi scendere dal camioncino, piegare verso l’interno ambedue gli specchietti, risalire… “Elio, non ci avresti una mezza idea per come evitarmi questa tiritera quotidiana?”.
Tra gli operatori dalla ditta Cecchetti ce n’era uno che soffriva di una leggera forma di spasticità: raramente, sì, ma ogni tanto gli scappava il movimento sgarbato. Salì a S. Girolamo, il ruspista spastico, si mise alla guida di una pala meccanica con la benna di piccole dimensioni, ma in grado di rifilare sberle forti; tra i saluti più cordiali, prese a scendere verso Gubbio. Proprio all’altezza dell’ultimo tratto delle mura medievali, un attacco di spasticità lo colpì e avventò sacrilegamente la benna contro quelle vetuste vestigia: un tre/quattro metri della nostra antica grandezza volarono via. Corremmo in Comune, disperati come se lo fossimo sul serio, “è tutta colpa nostra, ricostruiamo subito quei tre o quattro metri profanati, subito, con le stesse pietre”.
Subito, con le stesse pietre, sì, ma 80 cm più all’interno rispetto alla casa dei Minelli. Ebbe così fine la mia quotidiana tiritera, e altri mezzi meccanici poterono salire a S. Girolamo
Elio, amico mio, saltuario frequentatore di chiese, convinto assertore della “dottrina” che preferisce “un moccolo a tempo a un Paternostro fuori tempo”, amico di tanta altra gente, alla quale hai fatto del bene solo perché aveva bisogno che tu le facessi del bene. Elio, oggi che direbbe di te Gesù? Si limiterebbe a chiamarti una persona perbene, una persona che ha vis-su-to per il be-ne? Sì, certo direbbe anche questo, ma ridirebbe (Mt 9,20-22) anche le parole rivolte alla donna cananea sfinita dalle sue interminabili perdite di sangue: “La tua fede ti ha salvata!”. E proporrebbe ancora (Mt 8,1-13) ciò che udì la gente presente a Cafarnao al suo dialogo con il centurione che l’implorava per un suo milite moribondo: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!”.
E a noi “addetti ai lavori”, a noi che ci portiamo dentro lo sfraghìs dell’Ordine sacro, quel Gesù, quel tuo Gesù, chiederebbe di ripensare a fondo quale fede Lui vuole dall’uomo per prenderlo con sé.