Ho letto con un certo stupore su un giornale cattolico – simile al nostro, della diocesi di Piacenza – un titolo sparato in prima pagina: “Chi ha paura del Sinodo sulla famiglia?”. Già, chi ha paura e perché? C’è chi teme che non si arrivi a decidere positivamente sulla comunione ai divorziati risposati, e sarebbero i progressisti. Altri temono invece che si arrivi a una decisione a favore, mettendo in discussione princìpi e regole fondamentali della tradizione cattolica, e questi sarebbero i tradizionalisti, reazionari o moderati. Tutto questo sulla base di interventi sulla stampa, libri e interviste a prelati e teologi, prima ancora che iniziasse la stessa assemblea dei padri sinodali.
Appena iniziata e ascoltate le prime parole, tutto è risultato risibilmente messo da parte. Papa Francesco, infatti, nella sua introduzione ai lavori (che si protrarranno fino al 19 ottobre) ha coraggiosamente invitato i vescovi e gli altri membri del Sinodo: “Dite tutto quello che avete in animo con parresìa e ascoltatevi l’un l’altro con umiltà”. Parresìa è una parola greca che significa libertà di parola e coraggio nel dire tutto (pan, tutto; rhema, discorso). Parleranno, dunque, e diranno tutto, poi si vedrà e si valuterà, senza fretta di concludere perché ci sarà un secondo tempo nel 2015, e poi c’è tutto il tempo della Chiesa, che – come disse Giovanni XXIII – non è “un museo archeologico” ma una realtà viva, umana e divina, in divenire, o meglio in pellegrinaggio lungo i secoli, sempre bisognosa di rinnovamento, aggiornamento, riforma: termini dinamici che indicano percorsi di libertà e responsabilità nei confronti del suo unico Maestro e Signore Gesù Cristo.
Ma ci sono altre paure, ad esempio quella delle “Sentinelle in piedi”. Hanno paura del Sinodo la sinistra estrema e le varie organizzazioni di gay, lesbiche e transessuali che irrompono nelle manifestazioni silenziose delle Sentinelle, considerandole una provocazione. Meraviglia che anche un intellettuale famoso, e per vari aspetti meritevole di stima, si sia accodato al coro dei lamentosi pronti a ravvisare ovunque parole e gesti nel segno dell’omofobia: Roberto Saviano. Il quale ha dichiarato che, pur essendo le Sentinelle libere di esprimere il proprio pensiero, ha trovato la loro manifestazione “un gesto – seppur pacifico nei modi – di forte violenza culturale”. Le Sentinelle che cosa, di fatto, vogliono comunicare? Molto semplicemente che il matrimonio è fatto da un uomo e una donna, e che il figlio deve avere un padre e una madre.
A questo proposito, al di sopra dell’articolo che riportava la dichiarazione di Saviano sfolgoravano – con evidente soddisfazione – un uomo da una parte, uno dall’altra, sorridenti, con un bimbo in mezzo che posava la manina sulla spalla di uno, quello di sinistra (forse quello che funge da madre?). Il bimbo era quasi sorridente. Chi lo guarda, lo è di meno… ma queste cose oggi, secondo Saviano e altri maîtres à penser, non si possono dire perché sarebbero offensive per i gay. In realtà, le persone non sono toccate da alcuna condanna. Nella loro vita personale e nelle scelte soggettive, nessuno invade la loro privacy (“Chi sono io per giudicare una persona?” – Papa Francesco). Ma chiediamo, in silenzio, che evitino di condannare chi pensa e vive diversamente da loro.
All’ultimo momento ho scoperto un’altra paura che fa veramente paura: Papa Francesco sarebbe stato eletto in modo erroneo, e quindi la sua elezione sarebbe invalida, e per di più Bergoglio non manifesta una “vera fede” perché non si inginocchia dopo la consacrazione dell’eucaristia, e ancora: la sua predicazione è difforme e spesso contraria alla tradizione cattolica, al Vangelo e al Concilio Vaticano II rettamente interpretato, per cui la Chiesa si trova in una grande tempesta e possono prevedersi avvenimenti catastrofici.
Non abbiamo tempo, voglia, né spazio per approfondire ciò che è scritto in questo nuovo libro di Antonio Socci. Ma, senza ripetere le espressioni forti usate da Maurizio Crippa su Il Foglio del 2 ottobre, la lettura sia pure rapida di queste 284 pagine fa nascere una grande pena per un uomo intelligente e buono quale è l’autore, che si è lasciato incantare dalla propria autoreferenzialità e sicurezza senza tenere conto dei generi letterari, della diversità dei modi di esprimersi, dei registri comunicativi propri di Papa Francesco, che la gente riesce a capire; di un pensiero, quello di Bergoglio, volutamente e consapevolmente “incompiuto”. Paragonandosi poi a Rosmini e ad altri personaggi della storia che hanno criticato la Chiesa, il libro e il suo autore si pone fuori di ogni contestualizzazione, fuori cioè dalla storia.