Il tema fondamentale di questa settimana è la convocazione, il raduno del popolo di Dio, da parte di Dio. Il tema è proposto sia nella prima lettura che nel Vangelo. Il clima di questa assemblea è di festa e di gioia: questo è il progetto di Dio per gli uomini. Ma ciò implica una partecipazione attiva da parte dell’uomo, che deve aderire alla proposta di Dio (si fa ancora riferimento al rifiuto da parte del popolo), e poi deve essere parte attiva nella costruzione del Regno (indossare la veste bianca).
La seconda lettura dà una guida nel cammino per la costruzione di questo Regno: l’affidamento a Cristo nelle varie vicissitudini della vita. La Chiesa fa riferimento a questa realtà quando si raduna in assemblea per celebrare l’eucaristia: riuniti attorno a Cristo che ci salva, nella speranza di una futura piena realizzazione di ciò che al momento è solo un piccolo seme. Ma la Chiesa e ogni cristiano sono chiamati ad aderire e a costruire il popolo di Dio nella realtà quotidiana, immersi in contesti più svariati, a volte in collaborazione, a volte in contrapposizione con le proposte che il mondo presenta. Un compito immane, che rimarrà incompiuto fino agli ultimi tempi. Le Scritture e la Chiesa sono un orientamento in questo cammino.
Dal Vangelo odierno emergono alcune indicazioni. Il rifiuto a partecipare al banchetto avviene perché “quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo chi ai propri affari”. La priorità indicata è chiara: prima viene il Regno. Ma concretamente nella vita di tutti i giorni la dedizione ai propri affari, al proprio lavoro appare prioritaria; si è valutati proprio per la dedizione alle mansioni del proprio stato; impegnarsi nel lavoro per rendere la vita della propria famiglia più confortevole, dare ai figli una migliore educazione (mandarli all’estero a studiare!) è considerato meritorio.
Quando il proprio impegno nella società significa mettere in secondo piano la costruzione del Regno, e quando invece l’impegno è parte della stessa costruzione? Come può essere valutato? Certamente queste domande non hanno una risposta che non passi per la propria coscienza, illuminata dalla Parola e dalla comunità. I criteri passano quindi non tanto sul che cosa ma sul come e sul perché certe scelte vengano compiute (pur nella consapevolezza dei rischi e delle difficoltà che questo discorso implica).
Tutto questo comporta che rispetto agli “altri” la risposta necessita di una maggiore elaborazione, in qualche modo è più complessa. Questo è probabilmente uno “svantaggio” in rapporto ai criteri di “efficienza” nella società. Essere cristiani adulti può significare “faticare” di più rispetto agli altri nel condurre gli affari della vita. Ma ciò non può essere considerato un disvalore, sia nell’ambito della persona che della società. Gli affari, il lavoro, se vengono considerati fini a se stessi, non inquadrati nel contesto di uno sviluppo armonico e integrato dell’uomo nella sua complessità e ricchezza, finiscono per essere un elemento di alienazione, di sfruttamento, di ingiustizia.
Nella società attuale, dove, di fronte a un incremento della complessità dei problemi e della difficoltà a gestirli, sembrano prevalere criteri sbrigativi di efficienza e di mero aumento della ricchezza, ci pare che i cristiani abbiano un compito fondamentale: elaborare e proporre criteri e progetti per una società più “umana”. Questo senza complessi di inferiorità, nella coscienza che l’ispirazione cristiana è indispensabile per migliorare la nostra società.