Il giovane cristiano e il gusto di vivere

Mons. Paglia incontra i giovani impegnati nelle parrocchie e nei movimenti della diocesi

“Ve lo dico sinceramente, mi sono chiesto spesso: cosa significa per me essere cristiano? Non ho alcun dubbio: è il gusto di vivere. Davvero, se io faccio il prete è perché la cosa mi rende goduriosamente felice. E sono convinto che se io ho avuto risposta all’infelicità, può esserci anche per gli altri; il dramma è come aiutarli a trovarla!”. Così il vescovo Paglia, incontrando la settimana scorsa i giovani impegnati nelle parrocchie e nei movimenti della diocesi, ha parlato della necessità di abbattere quel muro che separa i “cattolici” dai “laici” per portare fuori delle chiese il messaggio di speranza rappresentato dal cristianesimo; una speranza, che – come il suicidio di una venticinquenne avvenuto proprio pochi giorni fa ha tragicamente dimostrato – viene sempre più a mancare proprio nei giovani. Non è un caso che sia stata ribattezzata “Generazione X”: una generazione che ha perso qualunque riferimento, familiare, politico, religioso e che finisce così per ritrovarsi spesso senza una ragione di vita. “Quando sono andato a parlare nelle scuole – ha ricordato il Vescovo – ho detto: “adesso o mi contestate o mi rispondete, non potete restare zitti! E poi ho proposto a tutti di andare a fare servizio alla mensa”. “Non possiamo delegare ai preti l’evangelizzazione. Coloro che celebrano la messa ci sono, ma non i giovani che annunciano il Vangelo ai compagni di scuola, o in discoteca il sabato sera”. Nell’incontro che ha preceduto la grande veglia in cattedrale del 30 novembre i ragazzi si sono confrontati con il vescovo e tra loro, portando ognuno la propria esperienza. “Io il cristianesimo non l’ho incontrato in chiesa – ha detto Michela – ma a scuola, dove grazie al mio professore ho conosciuto Comunione e liberazione. Ho scoperto di poter trasmettere la mia esperienza a tutte le persone che incontro, anche a quelle agnostiche o atee, perché la cosa più grande del cristianesimo è la testimonianza, anche senza predicazione”. Pietro Antonelli del Movimento studenti dell’Azione cattolica ha raccontato l’esperienza dei Laboratori di pace: “Abbiamo chiesto ai ragazzi delle scuole ternane di trovare i ‘non luoghi’, cioè i posti dove le persone sono standardizzate dal Sistema, considerate non persone ma utenti: hanno risposto l’ospedale, il centro commerciale… ma anche la chiesa. Questo ci ha interpellato molto”. “Dopo 5 anni di università – ha detto Mirko della Fuci – mi sono reso conto che per annunciare il Vangelo bisogna innanzitutto costruire un rapporto di amicizia, di crescita personale”. Manuela di San Cristoforo, parla della sua esperienza alla Giornata mondiale della gioventù: “Tornata da Toronto tutti mi chiedevano soltanto come fosse la città, nessuno: perché l’hai fatto?”. Riguardo invece all’esperienza da catechista, “la difficoltà più grande – dice – è rapportarsi con i genitori: riempiono i ragazzi di impegni, la religione passa in secondo piano; sono tutti in carriera!” I ragazzi del seminario regionale, infine, hanno presentato la Missione giovanile, che il 30 e il 1 dicembre vedrà i giovani e i seminaristi scendere nelle piazze delle città principali della diocesi per invitare i ragazzi alla veglia in cattedrale, alla quale parteciperà anche padre Ibrahim, il custode della Basilica della Natività. Il loro impegno proseguirà nei mesi successivi quando saranno tutti insieme presenti nelle varie parrocchie per conoscere le varie realtà e provocare con la testimonianza una risposta vocazionale.

AUTORE: Arnaldo Casali