“Meglio morire che convertirci, affermano decisi i cristiani iracheni. Considerano un ‘traditore’ chi, per salvare la vita o anche solo per non perdere soldi e proprietà, ha pronunciato la dichiarazione di conversione all’islam. E dimostrano una fede, e una determinazione nel mantenerla, che per noi europei, figli della secolarizzazione, può sembrare una cosa del passato, superata, memoria di tempi antichi”. È soltanto una delle numerose testimonianze che i giornali hanno riferito nei giorni scorsi circa i terribili massacri che hanno investito i credenti in Gesù.“Non possiamo vivere senza Cristo – affermano. – A tutto possiamo rinunciare, ma non a Lui. La fede in Lui vale più della vita stessa, perché una vita senza Cristo è vuota e senza senso”. Sono ritornati i martiri. Nel Novecento, come anche in questo secolo agli inizi, abbiamo assistito e assistiamo a una nuova ondata di martiri, quale non si era registrata a partire dal IV secolo.
Il martirio ha di nuovo oggi la sua epifania tramite “testimoni” eloquenti, conosciuti, ma anche tramite “militi ignoti della grande causa di Dio”. In quest’ora in cui viene enfatizzata una evangelizzazione o una “nuova” evangelizzazione, è giunto il momento di guardare al martirio, autentica ed efficace evangelizzazione fatta da uomini e donne che mostrano che vale la pena vivere e morire per Cristo, il Signore e Salvatore, risorto vincitore della morte per sempre. Forse molti cristiani “normali” possono sentirsi quasi ‘declassati’, non potendo dare una testimonianza pari a quella dei martiri. Ci domandiamo: oggi esistono situazioni che richiedono a noi il martirio? E quale martirio/testimonianza? Si è parlato, accanto al martirio “rosso”, di sangue, di un martirio “bianco”. Ascoltiamo la riflessione di mons. Pierre Claverie, vescovo di Orano (Algeria), ucciso il 1° agosto 1996: “Il martirio ‘bianco’ è ciò che si cerca di vivere giorno per giorno, ossia il dono della vita a goccia a goccia in uno sguardo, in una presenza, in un sorriso, in un’attenzione, un servizio, un lavoro, in tutto quello che fa sì che la vita che ci anima venga condivisa, donata, consegnata.
È là che disponibilità e abbandono diventano martirio; l’importante è non tenere per sé la vita… vivere così ha un significato eminentemente eucaristico, un’eucaristia vissuta come vita che si dona. L’eucaristia siamo noi, e si rinnova solo se Gesù rinnova oggi in noi l’offerta della sua vita”. Risuonano attuali anche le parole di Ilario di Poitiers, vescovo dopo la svolta costantiniana: “Oggi dobbiamo combattere contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga… non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro”. Il nostro è il tempo della resistenza allo spirito mondano per vivere secondo il Vangelo. La silenziosa fedeltà di ogni giorno al Vangelo, andando controcorrente, non è forse una forma di autentico e alto martirio? Consacrati alla testimonianza, forse noi non moriremo di martirio “rosso”, ma di quello legato alla sofferenza che proviene dal fatto di non riuscire a essere testimoni. Scorrono davanti ai miei occhi i volti sorridenti di numerosi ragazzi che si presentano al vescovo per confermare la propria fede e poi testimoniarla nella vita. Ma sono in grado, i nostri cresimandi, di vivere questo impegno? Forse potrebbero obiettare, a me Pastore, ai genitori e ai catechisti: “Siate anzitutto voi stessi quello che ci insegnate”. Comunque voi, cari ragazzi, sarete potenti con la forza che lo Spirito di Gesù metterà nei vostri cuori, se li aprirete a Lui.
In questa direzione va l’invito di Papa Francesco: “Rimanete saldi nel cammino della fede, con la ferma speranza nel Signore. Qui sta il segreto del nostro cammino! Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente. Sentite bene, giovani: andare controcorrente, questo fa bene al cuore, ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente, e Lui ci dà questo coraggio! Non ci sono difficoltà, tribolazioni, incomprensioni che ci devono far paura se rimaniamo uniti a Dio come i tralci sono uniti alla vite”.