Ci mancava, anche se va di moda esaltare con enfasi le vacanze, magari quelle estere o pericolose… ci mancava la campanella, che finalmente tra poco ricomincerà a suonare. La scuola muove persone e famiglie, giovani e anziani, ricchi e poveri, promuovendo una circolazione vitale di persone ed energie. L’importanza maggiore della scuola nella società, tuttavia, è data dal suo compito di informazione e formazione delle giovani generazioni: un compito che ha a che fare con l’intelligenza, la coscienza, la memoria, il carattere, la volontà, i comportamenti e in generale tutti gli aspetti della vita delle persone. Nella scuola si costruisce il futuro di una società: luogo privilegiato (non il solo) in cui avviene la trasmissione degli orizzonti e delle prospettive del cammino umano. Gli studenti, a loro volta, con il loro slancio vitale, insieme ai loro insegnanti – educatori assumono nuove abilità mentali e pratiche, ed elaborano processi di innovazione nei vari ambiti del sapere umano. La scuola diventa così l’anima di una società decisa a non morire, a non marcire nella palude della noia esistenziale.
Il discorso si fa complesso… e pure ottimistico? Viene avanti il sospetto che quella noia sia diffusa e la scuola sia “obliterata”. Che ci facevano, alle tre e mezza di notte, tre giovani a scorrazzare in un vialone deserto? E quei tanti che, a ora ancora più tarda, bivaccano o trangugiano birra per strade, piazze o sotto gli arconi delle nostre città? E questi sono solo la punta di un iceberg di un male e un disagio diffuso. A scuola – mi dice un insegnante del triennio di un liceo – si toccano con mano, in molti (i numeri sono sempre difficili da stabilire), indifferenza, distacco, distrazione, disinteresse. Colpa della scuola? Degli insegnanti? Dei programmi? Tante risposte con tante ragioni. È comunque raro che un giovane si appassioni per una materia e che abbia cura della sua formazione integrale in quanto persona.
Un proverbio africano dice: “Per educare un figlio ci vuole un villaggio”. Oggi forse mancano anche gli educatori, ma con maggiore certezza si deve dire che manca il villaggio, il proprio villaggio, sostituito da quello “globale”. I giovani già da piccolissimi incominciano a connettersi con il mondo intero in digitale, in Rete. Tutto insieme determina quello stato di pluralismo esasperato in ambito delle scelte di vita, che lasciano il giovane stordito e scoordinato, non avendo parametri di giudizio certi e condivisi. Un giovane non riesce a rimanere solo con se stesso e con un libro tra le mani. In mano hanno semmai il cellulare o altro strumento di connessione digitale con il villaggio globale.
Un esempio di relativismo e confusione mentale si può esemplificare attraverso la sorte che sta avendo – in molte correnti di pensiero debole e post-moderno e anche post-umano, e quindi nei mass media – il termine “natura, naturale”. Ad Assisi un appello per la famiglia “naturale” ha suscitato critiche e polemiche. Non si può dire che una cosa è “naturale”, perché tutto appartiene ed è sottomesso alla “cultura” fabbricata liberamente dai singoli individui. Forse a chi chiede una bottiglietta d’acqua non si potrà più domandare: “Naturale o gassata?” E invece, forse sarebbe utile per tutti, e un compito per la scuola e tutti gli educatori, fare i conti con la realtà. La verità si ha quando la mente coglie la realtà, la bellezza, la bontà, l’utilità delle cose. A tale proposito si racconta che san Tommaso d’Aquino, all’inizio del corso di lezioni, era solito portare in classe una mela. La mostrava agli studenti dicendo: “Chi pensa e dice che questa non è una mela, esca pure, perché io non potrei insegnargli proprio niente”. Mi domando quanta gente oggi dovrebbe uscire dalla classe.