La sua voce è un grido di dolore, anzi un pianto carico di lacrime: Vian Dakheel, della comunità yazidi, è membro del Parlamento iracheno. È stata invitata a parlare ad Anversa davanti a oltre 300 leader religiosi di tutto il pianeta, al 28° incontro internazionale “Uomini e religioni” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio (7-9 settembre). Tema, “La pace è il futuro”. Quando il microfono passa a lei e a Mor Ignatius Aphrem II, Patriarca di Antiochia, in sala scende il silenzio. “Vi porto i saluti – dice Vian Dakheel – dei figli delle minoranze irachene, uniti a tristezza e dolori indicibili. Siete senza dubbio al corrente di quello che è successo ai figli della religione yazidi nel Sinjar in Iraq a partire dal mese di agosto. Ma sono quasi certa che non siete informati dei dettagli, dei crimini spaventosi commessi contro una comunità pacifica”. Il primo “dettaglio” che colpisce di Vian Dakheel è la sua sedia a rotelle. La donna torna in Europa dopo un tragico incidente: si trovava sull’elicottero militare che stava portando aiuti alla popolazione yazidi sulle montagne Sinjar, nel nord dell’Iraq. L’elicottero è caduto; l’incidente ha causato la morte del pilota, e ha provocato al deputato iracheno una frattura della gamba. La donna però non si tira indietro perché ha una missione importante da svolgere: dare voce al martirio subito dal suo popolo. Sono 3.000 le vittime finora accertate. Alcuni sono morti per mano dell’Isis, altri per fame e sete dopo giorni di fuga sulla montagna del Sinjar. Ci sono anche 5.000 persone rapite – uomini, donne e bambini – di cui non si sa più nulla. “La gravità di quello che sta avvenendo nel mondo in generale, e nel Medio Oriente in particolare, oltrepassa tutto ciò che avevamo visto in passato” le fa eco Mor Ignatius Aphrem II, Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente e capo della Chiesa siro-ortodossa. Il Patriarca è reduce da una serie di visite fatte questa estate, insieme anche ai Patriarchi orientali, alle comunità cristiane irachene (Ninive e Mosul), del Libano e della Siria. Brucia fortissimo il dolore di questa Chiesa per il sequestro, più di 500 giorni fa, degli arcivescovi di Aleppo Boulos Yazigi e Youhanna Ibrahim. Tanto che Aphrem II lancia un’accusa: “Non si vergogna, la comunità internazionale, del suo silenzio circa il loro rapimento?”.
Avere il coraggio di andare al cuore delle ragioni che spingono alla violenza. Domandarsi perché le religioni siano fonte di odio e di intolleranza. Chiedersi come sia possibile che il Dio misericordioso e buono, riconosciuto come tale nelle grandi religioni, possa generare guerre e conflitti. Sono queste le domande che serpeggiavano ad Anversa all’incontro delle religioni per la pace. Dalla Siria alla Nigeria: il dialogo si confronta con le inevitabili sfide del radicalismo di matrice religiosa. Ci sono nel mondo – si è detto – i “territori del male”: luoghi in cui la condizione umana è ridotta alla sopravvivenza, in cui milioni di persone hanno un unico scopo nella vita, ed è quello di restare vive.
Per lavoro Domenico Quirico, giornalista della Stampa, viaggia “attraverso la sofferenza umana”. Alla luce della sua esperienza, ha elaborato la convinzione che stiamo vivendo la nascita di “un nuovo totalitarismo”. È il totalitarismo per cui “l’uomo è condannato a morte non per ciò che fa, ma per ciò che è. La sua condanna a morte è iscritta nella sua identità. Spazzato via, cancellato perché ebreo, perché yazida, perché cristiano. Questo è il totalitarismo: la cancellazione dell’uomo indipendentemente dalla sue azioni. È quello che sta sorgendo di fronte a noi attraverso il pretesto della fede. È un fenomeno pericolosissimo: prima era la razza, poi l’ideologia, ora una religione. La religione viene impugnata come un pretesto totalitario. La tentazione del totalitarismo è il vero pericolo che si sta manifestando davanti a noi”.
Il prossimo incontro internazionale delle religioni per la pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio si terrà in Albania, a Tirana: un Paese dove tra pochi giorni andrà anche Papa Francesco.
L’appello finale
Oggi la guerra – si legge nell’Appello finale di Anversa – è tornata sul suolo europeo, travolge convivenze millenarie in altre terre, fa soffrire troppi… Le religioni sono chiamate a interrogarsi: hanno saputo dare un’anima alla ricerca di un destino comune, o sono state catturate in una logica conflittuale? Ma le religioni possono molto: dare cuore e anima alla ricerca della pace come destino comune di tutti i popoli. Ci assumiamo oggi la responsabilità della pace, quando troppo pochi sognano la pace. Le religioni dicono, oggi con più forza di ieri: non c’è guerra santa; l’eliminazione dell’altro in nome di Dio è sempre blasfema… Lavoriamo insieme per il futuro del mondo, sapendo che la guerra è una grande stoltezza e che la pace è una cosa troppo seria per lasciarla solo ad alcuni. Il dialogo è la medicina dei conflitti, cura le ferite, rende possibile il futuro”.