Carissimo Don Paolo, la festa di San Lorenzo, titolare della nostra cattedrale, che abbiamo scelto, per la tua ordinazione episcopale, parla da sola e ti offre una esemplarità forte ed altrettanto impegnativa.
Il brano evangelico che è stato proclamato è ricco di spunti per la riflessione. La metafora del seme che muore, per portare molto frutto, acquista il suo vero significato solo alla luce del mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo, come risulta evidente leggendo il rigo che precede la pericope, in cui Gesù, senza mezzi termini, alludendo alla sua morte, che sentiva prossima, proclama che “è giunta l’ora di essere glorificato”.
Fratello e figlio carissimo, tu potrai applicare alla tua vita, la dinamica del seme che muore, soltanto ponendo dinanzi al tuo sguardo l’orizzonte della vita piena ed eterna che Gesù ha portato nel mondo, incarnandosi. Solo così ti sarà possibile spendere tutta la tua esistenza nella Sua sequela, come ci ha testimoniato il diacono e martire Lorenzo. “Se il chicco caduto in terra, non muore, rimane solo; Se invece muore produce molto frutto”. Perciò è necessario scegliere oggi le cose che rimangono! Occorre cioè seminare cose eterne.
Questi semi sono costituiti soprattutto dall’amore con cui decidiamo di andare incontro al prossimo e particolarmente a chi vive in situazioni di fragilità e magari non è in grado di darci nulla, come sono gli anziani, i bambini, i poveri ed oggi i tanti impoveriti.
All’Angelus di domenica scorsa, il Papa, commentando l’episodio evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, ha detto: “quante volte noi ci voltiamo da un’altra parte pur di non vedere i fratelli bisognosi! e questo guardare da un’altra parte è un modo educato per dire in guanti bianchi – arrangiatevi da soli -. E questo non è di Gesù, questo è egoismo”.
Carissimo Don Paolo, noi stasera chiederemo per te al Signore il coraggio di una testimonianza piena, limpida e coraggiosa, perché tu possa andare incontro alle gravi esigenze del tuo ministero episcopale, con uno spirito autenticamente evangelico: “perché la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù” (dice P. Francesco nella E.G.).
Oggi, in molte zone del mondo, sembra che aver incontrato Gesù sia diventata una colpa gravissima, pagata con una persecuzione terribile. In Nigeria, come in Siria e in Iraq, essere cristiani assume un carattere di eroicità che ben presto si tramuta in una sentenza di morte. Le notizie che in particolare ci giungono dal Medio Oriente ci colpiscono profondamente. Intere comunità di uomini e di donne, che per secoli hanno vissuto in pace e nel rispetto delle altre fedi religiose, rischiano di essere spazzate via per sempre, recidendo radici culturali e religiose antichissime. La vita di moltissimi uomini e donne innocenti, oggi, rischia di essere distrutta e cancellata da un odio ideologico cieco e senza un minimo rispetto per la dignità umana. E l’unica colpa di questi fratelli consiste solamente nella testimonianza, a volte soltanto attraverso l’Eucaristia, dell’amore sconfinato che Nostro Signore ha nei confronti dell’uomo.
San Lorenzo ci ha insegnato che anche il martirio è un dono che ci viene dall’alto. Un dono scandaloso per la mentalità mondana a cui la nostra stanca e opulenta società forse non è più abituata. Ma tutti noi siamo invitati, nella ricorrenza del titolare della Cattedrale, ad accogliere questa grazia, sforzandoci, prima di tutto, di comprenderla in pienezza. Mi hanno particolarmente colpito le espressioni dell’antifona al Magnificat dei vespri della vigilia della festa odierna, che mettono sulla bocca di Lorenzo queste parole: “La mia notte non ha tenebra, tutto risplende nella luce”.
Caro don Paolo, ti auguro che nella tua vita tutto possa risplendere nella luce e che il Signore ti dia sempre il coraggio di perdere ogni giorno un po’ della tua vita per gli altri.
Ti accorgerai col tempo, come d’altronde ci assicura il Vangelo, che è solo la vita donata che orienta per la vita eterna. E solo donando vita possiamo essere testimoni del Risorto.
Anche il tempo di grazia che stiamo vivendo, cui Papa Francesco continuamente ci richiama, essendo un tempo di rinnovamento, porta in sé la necessità di morire continuamente a qualcosa. “Ci sono abitudini, metodologia, schemi di lavoro e mentali, che non sono più adeguati alla missione della chiesa nell’attuale contesto: ebbene, anche a questi, dobbiamo tutti con fiducia, avere il coraggio di morire. Gesù Cristo può anche rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina”. EG n.11
È questa la vera conversine pastorale e missionaria inaugurata dal Concilio Vaticano II e richiamata da Francesco. Non si tratta di fare cose nuove, quanto piuttosto di assumere uno stile ecclesiale che si nutra di sinodalità: e questo richiede un discernimento evangelico ed ecclesiale continuo cui tutti devono partecipare; di accoglienza e creatività missionaria che spinga tutte le nostre comunità a uscire da se stesse per andare in quelle periferie esistenziali e materiali, che purtroppo, anche a causa dell’attuale crisi, si stanno moltiplicando e avviluppano un numero sempre più crescente di persone, creando solitudine, sofferenze e chiudendo a molti prospettive per il futuro.
Figlio carissimo, come ogni Chiesa locale, anche la nostra è
– innanzitutto una comunità di fede e la fede necessita di essere alimentata dalla Parola di Dio;
– una comunità di grazia che viene continuamente edificata dal Sacrificio Eucaristico, dalla celebrazione dei sacramenti e dalla preghiera;
– una comunità di carità, spirituale e materiale, che sgorga dalla fonte Eucaristica e ci spinge ad accogliere i poveri e a vivere lo spirito della povertà evangelica, le cui caratteristiche sono il distacco, la condivisione e la sobrietà;
– e, infine, una comunità di apostolato nella quale tutti i figli di Dio sono chiamati a diffondere le insondabili ricchezze di Cristo personalmente e comunitariamente. Grazie a Dio non manca nella nostra Chiesa una vera ricchezza di gruppi, movimenti e associazioni che, inseriti nelle nostre parrocchie, le rendono più vive ed impegnate. Tutto questo stimola maggiormente l’impegno di noi vescovi nel favorire l’unità e la comunione.
I nostri preti e i nostri diaconi, fratelli nel sacramento dell’Ordine, ci chiedono di poter sperimentare una paternità vera e accogliente, che sia di testimonianza e guida per il loro ministero. Insieme, potremo certamente venire incontro a questa richiesta.
Abbi, inoltre, una particolare cura delle famiglie, dei giovani, dei ragazzi, dei tanti anziani e un’attenzione particolare per i nostri seminaristi che quest’anno, a Dio piacendo, raggiungeranno il numero di 20, essendo già stati previsti 7 ingressi per il propedeutico. Non dimenticare la vita consacrata, segno delle realtà eterne!
Ringrazio il Signore e il Santo Padre per il grande dono che ci ha fatto destinandoti come vescovo ausiliare a questa Chiesa. Nei cinque anni, che abbiamo trascorso insieme, ho potuto sperimentare la tua generosa e intelligente collaborazione.
Il mio pensiero va, infine, a tuo padre, che con te condivide la gioia di questa chiamata, alla mamma e alla nonna che ti proteggono con la loro intercessione, ai tuoi fratelli e nipoti per i quali nutri tanto affetto. Penso anche alla gioia di tutti coloro che in 23 anni di ministero presbiterale hai potuto incontrare in Diocesi e in tutta Italia, mediante l’impegno di 7 anni alla CEI. Da parte mia avrai sempre il sostegno del consiglio e della preghiera e, mentre invito tutti ad esserti accanto con amicizia e affetto, ti affido alla protezione di san Lorenzo e della nostra Madonna delle Grazie. Amen
† Gualtiero Card. Bassetti
Arcivescovo metropolita di Perugia-Città della Pieve