Il noto psichiatra Vittorino Andreoli, in un convegno giovanile ad Assisi, ha raccontato che per un certo periodo, a scopo rieducativo, andava in carcere a trovare Maso, il giovane che ha ucciso i genitori, ed una sera quel giovane gli ha detto, grosso modo,: ‘Professore, so che ho fatto una ‘cazzata’, ma lei non venga tutte le sere a farmi la lezione’. Non so se sono proprio queste le parole. Ma il termine tra virgolette è proprio quello usato. Andreoli ha raccontato il fatto per dire che il delitto, il doppio assassinio, il patri e matricidio compiuto per avere l’eredità subito, e il male in generale è considerato una ‘c…’. Eschilo o Sofocle, su questo fatto, per il modo come è avvenuto, avrebbero scritto una di quelle ‘tragedie greche’ che ancora commuovono chi le legge. Sembra che oggi venga meno la percezione del male compiuto che si tende a considerare in modo superficiale e distorto. Simili riflessioni le abbiamo fatte anche nel numero scorso prendendo lo spunto dall’intervento su fatti di sangue di un altro intellettuale e scrittore Franco Cardini. C’è da rilevare che Andreoli, a differenza di Cardini, si dichiara non credente. E ciò fa pensare che la barriera storica tra credenti e laici non credenti si stia sempre più assottigliando. Dove questo divario tra credenti e laici rimane intatto è su questioni di bioetica. E’ di questi giorni la sperimentazione dell’uso in Italia della pillola RU486 che interrompe la gravidanza. Dal mondo laico e anche da esponenti di qualche confessione religiosa non cattolica si continua ad affermare che si tratta di un diritto civile e di una conquista di civiltà o comunque di un accettabile minor male. Anche in questo campo si tratta di una facilitazione e banalizzazione del male. Tutti sanno che per sottolineare l’ irrilevanza di un fatto si usa comunemente dire: ‘è come ingoiare una pasticca’. Un aborto è come ingoiare una pasticca. Ma, naturalmente, gli intellettuali che amano attribuirsi una dignità intellettuale (altrimenti che intellettuali sarebbero?) invocano ragioni e sfoderano convinzioni che vanno dalla psicologia femminile, che non verrebbe turbata non dovendo ricorrere ad un atto chirurgico, all’ economia degli Stati che spenderebbero meno, e anche al controllo demografico. Ho sentito in televisione una nobile signora ebrea che diceva che vi sono paesi in cui le donne hanno una gravidanza dietro l’altra e mettono al mondo numerosi pargoli che subiscono la falcidie di una frequente precoce mortalità e costituiscono una minaccia per il genere umano sovrapopolato. E quindi, avanti con la distribuzione di pillole a dimensione planetaria. Le ditte farmacologiche ringraziano. Questa è la banalizzazione non del male soltanto, ma dei problemi del sottosviluppo di due terzi dell’umanità, di fronte ai quali si cercano scorciatoie maldestre che finiscono per umiliare l’essere umano. La Chiesa in tutto questo non fa una battaglia per se stessa o per difendere un proprio privilegio o contro qualcuno per partito preso. Agisce solo al servizio della verità in cui crede, a servizio della vita e della civiltà e indica un livello alto e impegnato dell’essere e del vivere da umani, condividendo pure le difficoltà, le ansie e le speranze che l’intera umanità incontra nel suo cammino storico. E lo fa su tutti i versanti della vita, a cominciare dalla sua difesa quando viene minacciata dalla guerra, dal terrorismo e da ogni forma di violenza.
La banalizzazione del male
AUTORE:
Elio Bromuri