Non è usuale che un Vescovo eletto si prepari all’ordinazione episcopale camminando. Che lo faccia don Paolo Giulietti non sorprende chi lo conosce, chi sa della sua passione che ha tradotto anche in termini teologici e antropologici per spiegare il valore e il significato del pellegrinaggio. Così, nell’intervista rilasciata a La Voce e a Umbria Radio don Paolo racconta anche che il pellegrinaggio a piedi da Loreto ad Assisi sarebbe stato la sua “settimana di ritiro” e che il giorno dell’ordinazione “entrerà” in diocesi a piedi, partendo da Assisi.
Mons. Giulietti, qual è stata la sua prima impressione quando ha ricevuto la nomina a Vescovo?
“L’ho accolta come un momento importante della vita, perché si tratta di una modalità nuova di essere a servizio della Chiesa.
Cosa cambia nella diocesi?
“Dal punto di vista strettamente operativo, il vescovo ausiliare è vicario generale della diocesi, quindi il mio lavoro rimane lo stesso. Dal punto di vista della rappresentanza della diocesi, questo nuovo incarico comporterà qualche impegno in più, come in occasione della visita pastorale in cui sarò più direttamente coinvolto”.
E c’è uno stato sacramentale nuovo…
“Sì, e implica una partecipazione diretta al collegio apostolico, il cui interesse va al di là della sola città di Perugia, è una fraternità e una responsabilità più ampia. Vescovo ausiliare è un modo diverso di aiutare il vescovo, un ausilio fraterno fondato sulla condivisione dell’episcopato”.
Le sue parole ci introducono nel tema della comunione ecclesiale …
“Volevo, infatti, insistere su questo fatto. A Perugia stiamo assistendo da diversi anni ad una visione collegiale della chiesa per quello che riguarda il modo di esercitare il ministero presbiterale con le unità pastorali che chiedono ai preti di non lavorare più da soli, ma collaborare con i fratelli su uno stesso territorio. Abbiamo, anche con il Sinodo, una visione di chiesa collegiale nel suo insieme, dove tutta la comunità dei fedeli è responsabile nella vita di comunione e missione della chiesa. Per questo avere a Perugia l’immagine anche di un episcopato collegiale accredita ulteriormente questa visione collegiale su cui anche il Papa ha insistito molto parlando di una chiesa di popolo in cui tutto il popolo è responsabile, in virtù del battesimo, della vita e dell’agire della comunità cristiana”.
Come si può spiegare a chi non crede questa realtà in cui tutte le parti cooperano seppure in modi diversi, ma che non si chiama democrazia?
“La Chiesa è una collegialità in cui non si vota, modellata sull’immagine trinitaria, dal punto di vista teologico, e familiare, dal punto di vista antropologico. In una famiglia non si vota, però si decide insieme nel rispetto dei reciproci ruoli dove tutti sono coinvolti e protagonisti, anche i più piccoli”.
È stato un anno eccezionale per la nostra Chiesa che ha avuto un cardinale dopo un secolo e mezzo e un vescovo dopo diversi anni. Cosa vuol dire questo per una Chiesa?
“Credo voglia dire una maggior responsabilità nel rispondere a questi imprevedibili doni. Come tutti i regali sorprendono perché non legati ad un merito, ma all’amore di chi li dà. Penso quindi che la nostra Chiesa è chiamata ad essere più collegiale e più missionaria e a cogliere questo ‘raddoppio’ degli apostoli come una sollecitazione ad essere maggiormente apostolica, coinvolta nell’‘essere in uscita’, nel guardare al di fuori dei propri confini alla luce del Vangelo, come dice Papa Francesco”.
Si può dire che lei è un vescovo del Concilio perché è nato in quegli anni e si è formato con la teologia conciliare. Come è nata la sua vocazione?
“È nata nella parrocchia di Case Bruciate con don Antonello che, purtroppo, è scomparso il 22 novembre scorso. È nata nell’ambito dell’oratorio, nei campeggi, nel lavoro della pastorale giovanile come desiderio di servire soprattutto le nuove generazioni, e infatti dopo il Seminario ho studiato Pastorale giovanile. Ma è nata anche nella riscoperta del valore della diocesi, negli anni in cui mons. Pagani, che per me è stato molto importante, faceva la Consulta dei giovani e il primo convengo “Giovani verso il Terzo millennio” aiutando i giovani a vivere un nuovo senso di appartenenza e di responsabilità nella Chiesa diocesana. E don Antonello in questo era molto vicino a mons. Pagani e la sua era una parrocchia in cui i ragazzi avevano molto spazio”.
Poi è entrato in Seminario…
“E dopo il seminario ho chiesto di studiare pastorale giovanile e quando sono tornato sono stato incaricato della Pastorale giovanile diocesana, avendo peraltro sempre lavorato con i giovani. Ho seguito varie associazioni giovanili perugine come l’Azione Cattolica, la Fuci, gli obiettori di coscienza della Caritas con cui ho vissuto per cinque anni a Montemorcino, finché non sono stato chiamato nel 2001 a Roma per diventare responsabile del Servizio di pastorale giovanile nazionale. Ci sono stato fino al 2007, ed è stata un’esperienza di grande spessore umano e spirituale”.
Con la preparazione delle Gmg è stato a contatto con realtà di altri continenti. Che cosa le è rimasto?
“Innanzitutto che non ci possiamo lamentare di casa nostra, perché c’è chi sta peggio. Poi mi ha fatto crescere vedere modi diversi di essere Chiesa, a partire dalle esperienze degli italiani all’Estero tra tradizioni antiche e aperture alle realtà in cui sono inseriti. Le Gmg sono stati momenti molto preziosi, al di là della fatica e delle difficoltà organizzative”.
Poi dal 2007 è rientrato in diocesi …
“Sono diventato parroco di Ponte San Giovanni , dove ho trovato già una realtà giovanile molto viva. Qui sono stato incaricato di fare l’unità pastorale. C’era già una collaborazione strutturata con Balanzano e Pieve di Campo ma ho portato avanti questo modo nuovo di essere presenti come chiesa sul territorio, con qualche fatica ma anche con la gioia di vedere condivise dalla gente tante scelte e tanti percorsi. Sono stati per me, come prete, gli anni più belli. E questo finché nel 2010 il cardinale Bassetti che mi ha chiamato a diventare vicario generale. Ho comunque sempre continuato a fare il prete in parrocchie che per varie vicissitudini non lo avevano”.
Una filo rosso della sua vita è il pellegrinaggio, soprattutto a piedi.
“Il pellegrinaggio l’ho scoperto soprattutto grazie all’attività giovanile e alle GMG. Dal 1994 ad oggi non è passato un anno senza che facessi un’esperienza di questo tipo: a piedi, in bicicletta e, anche, in canoa! Credo che sia un’esperienza molto significativa, ho anche teorizzato quali sono le dinamiche che vi si innescano dal punto di vista antropologico e spirituale”.
Siamo quasi al trentennale del convegno “I giovani verso il Terzo millennio”. Quell’intuizione di mons. Pagani cosa ha lasciato?
“Quell’intuizione non è mai morta perché da essa è nata la Pastorale giovanile diocesana di Perugia, che non ha mai smesso di attenzionare i giovani con le risorse disponibili sia umane che economiche. Ed è nata l’idea di portare avanti la pastorale giovanile a livello diocesano perchè non basta al giovane l’orizzonte della sua parrocchia. Pagani aveva idee molto lungimiranti sui giovani che devono essere protagonisti della missione della Chiesa e della presenza nel mondo e su questo dobbiamo insistere di più per rendere i giovani non solo buoni cristiani, ma anche onesti cittadini. Lo stesso Papa Francesco ha parlato ai giovani di impegno sociale, politico, di un’evangelizzazione di vita negli ambienti dove vivono, lavorano, studiano”.
Uno degli incarichi che le sono stati affidati è quello di direttore di Umbria Radio. Quanto è importante la comunicazione in una diocesi?
“È importantissima, perchè tutto quello che è la missione della Chiesa passa attraverso la relazione, sia quello che si vive gomito a gomito nelle parrocchie, sia attraverso i media, che sono un modo per far raggiungere la voce della Chiesa al maggior numero di persone. Non si vive solo di relazioni fisiche, ma anche virtuali”.