100 anni fa scoppiava la Prima guerra mondiale, “travaglio dei regni e dei popoli” – come si legge in molte lapidi commemorative – destinata a sconvolgere lo scacchiere politico mondiale. L’assassinio a Sarajevo, il 28 giugno 1914, dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono degli Asburgo-Lorena, sarà ufficialmente la causa scatenante di quella macchina bellica – si metterà in moto esattamente un mese dopo, il 28 luglio – che stravolgerà l’Europa intera, facendo tramontare un’èra.
Intanto, il 20 agosto 1914 moriva Pio X: gli agiografi diranno “di crepacuore” per quella guerra che non era riuscito a impedire. Negli ultimi tempi, infatti, si era fatto silenzioso e triste – lui così allegro e gioviale che a un prelato che cercava di convincerlo a concedere il cappello cardinalizio a un suo protetto, rispose, con quella bonomia che sapeva vedere lontano: “Avete sbagliato indirizzo: io non sono un cappellaio, sono soltanto un Sarto”. Ripeteva inascoltato: “Verrà il guerrone!”.
Nel Conclave che s’aprì il 1° settembre erano presenti 57 dei 65 cardinali allora componenti il Sacro Collegio, e la questione si divise tra la scelta di un Pontefice dalla politica progressista, stile Leone XIII, o uno dal pontificato squisitamente religioso, come quello del Papa defunto. Prevalse la situazione di contingenza dettata dal clima di guerra, e i Cardinali diressero i loro voti sull’Arcivescovo di Genova, comprendendo che in quel momento la Chiesa aveva bisogno di essere guidata da un esperto diplomatico. Così, il 3 settembre, il card. Giacomo Della Chiesa veniva eletto al Soglio di Pietro. Assunto il nome di Benedetto XV, diede immediatamente prova di avere in pugno la situazione, dando precise indicazioni programmatiche e nominando, pochi giorni dopo, il card. Ferrata, filo-francese, segretario di Stato.
Vorrei anch’io, dopo il bel ritratto tracciatone da don Remo Bistoni, porre l’attenzione sulla grande figura di questo Papa, poco conosciuto e da alcuni relegato a torto tra le figure di un passato remoto.
Il 6 settembre venne incoronato, ma volle che la cerimonia si tenesse nella Cappella Sistina e non nella basilica di San Pietro, il tutto senza solennità, in rispetto della tempesta che si stava abbattendo sul mondo.
Con grande coraggio, Benedetto XV, novello Geremia, seppe assumere il ruolo del profeta inascoltato; inerme davanti alle Potenze che credevano solamente nell’utilità della guerra, e che risposero con gli insulti ai suoi continui richiami alla pace.
Fin dal suo primo messaggio, l’8 settembre 1914, stigmatizzò la guerra definendola “flagello dell’ira di Dio”, rincarando la dose quando, nel 1915, anche l’Italia scese sul campo di battaglia, definendo il conflitto “l’orrenda carneficina che disonora l’Europa”. Il 4 marzo del 1916 parlò di “suicidio dell’Europa civile” e il 31 luglio stigmatizzò la guerra come la “più fosca tragedia dell’odio umano e della umana demenza”.
Se si avrà la bontà di guardare al periodo storico (1914-1918) e a colui che le pronuncia (il Papa, ancora “prigioniero in Vaticano”), si comprenderà come queste frasi, che oggi diremmo scontate, furono invece pesanti come macigni.
La vetta più alta Benedetto XV la raggiunse nella nota Ai capi dei popoli belligeranti , datata 1° agosto 1917 (ma in realtà spedita ai destinatari solamente il 9, dato che per il giorno stabilito il testo non era ancora ultimato), nella quale Papa Della Chiesa si dichiarò neutrale, come segno di quella imparzialità che “si conviene a chi è Padre comune e tutti ama con pari affetto i suoi figli”, invitando le Potenze alla cessazione della guerra, “la quale, ogni giorno più, apparisce inutile strage!”. Definizione, questa, destinata a rimanere scolpita nella Storia, e che sarà la madre di quella, altrettanto solenne, di Pio XII nel radiomessaggio del 24 agosto 1939: “Imminente è il pericolo, ma v’è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”.
Sulle esili spalle di Benedetto XV si abbattè il temporale dell’ira e degli insulti: gli irredentisti lo accusarono di essere un vile; mentre i francesi, credendo che l’appello fosse influenzato dagli Imperi centrali, lo apostrofarono dandogli del “Papa crucco”.
Ma questo Padre, oltraggiato e insultato, non abbandonò nessuno dei suoi figli in lotta. Attraverso vescovati e nunziature, fu presente ovunque la guerra avesse devastato, recando non solo il suo conforto ma anche aiuti materiali.
Il 17 ottobre 1917 il nunzio Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, visitò ad esempio il campo di prigionia di Puchmein dove erano internati circa 600 soldati francesi e più di 1.000 russi. A ognuno di loro il rappresentante del Papa consegnò generi di conforto (sapone, latte, cioccolato, vestiti), il tutto racchiuso in pacchi confezionati con carta recante a stampa la Tiara pontificia e la scritta: “Il Santo Padre offre benedicendo”.
Il mondo intero dovette alla fine inchinarsi davanti al Papa della pace. Nel 1920 i turchi gli innalzeranno una statua a Istanbul, nella quale verrà salutato come “il grande Papa della tragedia mondiale… il benefattore dei popoli, senza distinzione di nazionalità o di religione”. Inchinarsi al “piccoletto”, come irriguardosamente veniva apostrofato dai guerrafondai, che credevano la legge del cannone più forte della Legge di Dio.
Il mondo si inchinò a Benedetto XV che, solo, come Gesù nell’Orto degli ulivi, non smise mai di levare la sua voce contro quella “inutile strage”.