In questa domenica ci troviamo davanti a uno dei miracoli più conosciuti dell’intera vita di Gesù. Un accadimento riportato in tutti i Vangeli sinottici con dovizia di particolari (c’erano 5.000 persone) e avvenuto – per chi ha avuto la fortuna di recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa – in un luogo preciso, o almeno identificabile con buona approssimazione. Chi ha avuto la pazienza di seguirci in queste settimane avrà compreso che non siamo molto “attratti”, anzi sempre abbastanza scettici, nei confronti delle moderne forme di attrazione verso manifestazioni miracolistiche o soprannaturali. In questo siamo però confortati dall’atteggiamento della Chiesa, da sempre molto cauta.
Il Signore ci mette oggi davanti proprio una di queste forme, e ci scusiamo se il nostro approccio cercherà di dare una lettura del racconto magari forzandolo un po’. Ci appelliamo alla clemenza del Signore, ma anche a quella dei lettori. Il brano è conosciuto come “la moltiplicazione dei pani”, ma in nessuno dei tre racconti (cf anche Mc 6,32-44; Lc 9,10-17) compare il termine “moltiplicazione”. C’è un partire da quel pochissimo che si ha, cinque pani e due pesci, riuscendo però a saziare tutti. Gesù ha saputo – secondo la narrazione di Matteo – che suo cugino Giovanni Battista è stato ucciso, e si ritira in un luogo deserto. Le folle lo seguono, lasciano la comodità della città per un luogo inospitale, attirati dalla sua presenza, e lui ne ha compassione.
Questo primo passaggio ci fa sentire Gesù molto vicino; nel suo essere vero uomo, lo comprendiamo a fondo quando lo percepiamo particolarmente sensibile alla sofferenza umana, in questo momento in cui deve elaborare la perdita di un “familiare”. Il Cristo decide allora di guarire gli ammalati che altri probabilmente avevano trascinato fino a quel luogo: alleviare le loro sofferenze avrà alleviato un po’ anche la sua. Venuta la sera, i discepoli con umano pragmatismo lo avvicinano perché congedi le folle e lui risponde: “Date voi stessi da mangiare a loro”. Questa risposta potrebbe indicare che nei discepoli c’è già la possibilità di compiere questo “miracolo”. Potremmo essere anche portati a pensare che sia il loro sacrificio, loro stessi, a poter diventare sostentamento per tanti seguaci di quel Cristo che radunava tanta gente.
L’indicazione di Gesù “date voi stessi da mangiare” ci ricorda l’aspetto fondamentale di tutta la vita del cristiano, la carità. A ognuno di noi è chiesto di farci prossimo in maniera reale; tutta la nostra formazione, la nostra catechesi deve portare a questo, riconoscere Gesù nei più piccoli e nei sofferenti e portargli soccorso, dargli da mangiare, da bere e di che vestirsi (Mt 25,35-40). Dobbiamo fare molta attenzione perché la nostra formazione non sia a compartimenti stagni: chi prega e chi fa le opere. La carità è compito di tutti, non di alcuni “professionisti del settore”.
Ma torniamo al testo. I discepoli mettono a disposizione quanto hanno, sinceramente molto poco, ma qui inizia una serie di azioni che ricordano in maniera forte l’istituzione dell’eucaristia. Gesù prende i pani, alza gli occhi al cielo, pronuncia la preghiera di benedizione, li spezza, li consegna ai discepoli, e i discepoli alle folle. È in questo passaggio che avviene qualcosa. Come fare oggi a replicare il miracolo dei pani? Vorremmo concentrarci sulla circolazione di questi pani tra la folla.
E se il miracolo di Gesù (non ce ne voglia!) fosse stato, grazie alla sua misericordia, quello di scatenare l’altruismo della gente accorsa? E se, visto che i discepoli avevano messo tutto nella mani del Signore, ognuno dei presenti avesse fatto altrettanto con quanto aveva nella borsa e non avesse tenuto nulla per sé, condividendo i loro viveri con quanti erano usciti di casa senza portare nulla, per dimenticanza o per povertà? Durante il passaggio di mano in mano, ci piace pensare che qualcuno abbia preso e che tanti abbiano condiviso con chi non conoscevano quello che avevano portato, attivati, in questo moto di grande generosità, da Gesù e dai discepoli.
Questa dinamica di una Chiesa, di un popolo di Dio che si apre, che diventa missionario, che mette a disposizione quanto ha senza troppi calcoli, è la Chiesa cara a Papa Francesco, che tanta breccia pare stia facendo nel cuore di tanti cristiani della nostra nazione un po’ narcotizzata da una mentalità troppo utilitaristica. Se prendiamo come possibile questa opzione, anche noi oggi potremmo sentirci discepoli a cui viene chiesto di dare da mangiare alla gente e a cui viene chiesto di mettere a disposizione quel poco che possiedono.