Storie di immigrati fatte di speranza di lavoro e di fede

Le testimonianze raccolte alla festa degli immigrati cattolici

Dice un proverbio Masai (citato da padre Pierli a pagina 7): “Nessuno perde quando ci si ascolta a vicenda”. Alla prima festa diocesana degli immigrati cattolici si è parlato molto e si è ascoltato molto, in uno scambio che ha lasciato tutti più ricchi. Per una volta gli immigrati non erano entità astratte, senza volto e senza storia. Con le loro parole in un italiano a volte incerto, si sono raccontati in ciò che hanno di più caro: la speranza di una vita migliore per sé e per i propri figli e la fede in Gesù conservata, ritrovata e, per alcuni, scoperta proprio in questa terra d’esilio in cui vorrebbero sentirsi almeno rispettati come persone. “Per favore – ha detto Flor che dall’Equador è venuta a Perugia per lavorare nelle famiglie – dite agli italiani che hanno una colf o una bambinaia che ci trattino bene perché siamo persone che meritiamo rispetto. Noi diamo amore alle persone che assistiamo e l’amore nessuno può pagarlo”. Quelle che presentiamo qui sono alcune delle testimonianze raccolte alla festa. Sono storie positive, di chi ha incontrato persone che hanno fatto sperimentare l’amore di Dio nel gesto semplice dell’accoglienza, e sono state proposte anche per invitare le parrocchie o le persone che non lo avessero fatto, ad aprire le porte agli stranieri ed in particolare ai fratelli di fede. Il desiderio di Pablo: fare il catechistaPablo era avvocato, impiegato al Ministero degli Interni in Perù. Oggi fa il carpentiere con una ditta di Perugia e lavora spesso fuori città. Alla messa settimanale in spagnolo celebrata presso la parrocchia di SS. Biagio e Savino per la comunità latino-americana, Pablo vorrebbe aggiungere incontri di catechesi per gli immigrati. A Lima ha vissuto un lungo periodo di conversione durante il quale ha sentito di essere chiamato da Dio a servire la Chiesa come laico. Ha lasciato il Perù per raggiungere il figlio e la moglie dalla quale stava per divorziare. Ora cerca un lavoro che gli consenta di stare in città per avere più tempo da dedicare all’annuncio del Vangelo. La famiglia Kalum dallo Sri LankaSerena ha due grandi occhi neri, vivace come uno scoiattolo, gioca fuori la sala dell’Oasi, con la mamma Samantha, anche lei minuta e timida, che accetta di parlare un po’ di sé, della sua famiglia e della sua terra, lo Sri Lanka. Abita a Città della Pieve e Serena (è il nome di battesimo, in cingalese è Nisansala) è nata a Castiglione del Lago. Ha lasciato il suo paese sette anni fa per raggiungere il marito, Kalum, che lavorava presso le famiglie nell’assistenza agli anziani. Si sono sposati al santuario Pievese della Madonna di Fatima, in una parrocchia che li ha ben accolti.Sono in Italia con l’idea di tornare un giorno nello Sri Lanka e, soprattutto per Serena, vorrebbe tornare presto almeno per farla andare a scuola lì, anche perché in Italia non le insegnano l’inglese. Intanto in casa parlano cingalese, la lingua di tutti i giorni necessaria per poter comunicare con nonni e zii. I “segni” di EllisLucia è in Italia per la figlia che non sente e non parla ma comunica con grande vivacità con gli occhi e con i ‘segni’. Ragazza madre in Italia si è trovata sola “poi ho incontrato Stella, della Caritas, che mi ha mandato alla Casa famiglia che è diventata la mia famiglia”. Si è chiesta spesso dove fosse Dio. “Adesso so che Dio c’è” – ha detto, ed ha accettato l’invito di una signora a partecipare ad incontri di preghiera e catechesi. I figli lontano dalla violenzaRegina è figlia di emigrati italiani in Brasile. E’ in Italia da tre anni con i suoi tre figli “per fuggire non dalla fame ma dalla violenza”. “Ero poco praticante, mi chiedevo cosa fa la Chiesa per i poveri” Qui ha capito e si è riconciliata con Dio nella parrocchia di Madonna Alta dove è stata ‘adottata’ da una famiglia italiana. Nina alla ricerca di lavoro e di Cristo E’ partita dal Kenia tre anni fa per cercare lavoro in Italia per aiutare la famiglia. Ha lavorato in diverse regioni e ogni volta si riprometteva di andare in Chiesa per conoscere questo Gesù “ma adesso non ho tempo, devo lavorare” si diceva. Finalmente a Perugia ha trovato lavoro proprio vicino alla cattedrale di assistenza di una donna di grande fede. Ha potuto così iniziare un cammino di preparazione al battesimo e la notte di Pasqua è stata battezzata dal Vescovo in cattedrale. Dall’Albania a tavola con il VescovoIn parrocchia a Tuoro sul Trasimeno Pietro ha trovato una comunità nella quale ha potuto conoscere il Vangelo e dove si è sentito veramente accolto specialmente quando si è seduto a tavola con il Vescovo, in occasione della Visita pastorale. Una grande emozione per lui che fino a vent’anni (oggi ne ha trenta) non aveva mai visto un prete perché pur essendo di famiglia cattolica nel suo paese, l’Albania, il comunismo aveva distrutto tutto.

AUTORE: Maria Rita Valli