Il titolo di quest’articolo l’ho copiato da Francesco Bonini, che ha scritto sul Sir una bella nota nella quale propone e commenta l’invito del Papa a pregare per la pace, indicando nel Rosario una preghiera efficace. Questo abbinamento della preghiera con il realismo suona originale e strano. Normalmente si dice che chi prega è un idealista, un contemplativo e in qualche modo un “rassegnato”, che esprime un desiderio ben lontano dalla realtà concreta. Il realismo invece e la cosiddetta “realpolitik”, alludendo vagamente a Machiavelli e intendendo con questa espressione la giustificazione del ricorso a tutte quelle forme di azione politica ritenute risolutive, sarebbe la via migliore per concludere le questioni con atti di forza. Ora si dà il caso che la lunga esperienza storica ha largamente mostrato come il realismo praticato a dismisura nel passato e nel presente, come, ad esempio nel conflitto della Terra santa, non produce la pace, si deve far leva su un realismo più ampio che includa anche la preghiera, la conversione delle persone e dei popoli, la creazione di organismi adeguati a interporsi e mediare tra i contendenti, a studiare le cause profonde e non solo quelle superficiali dei conflitti, a suscitare energie culturali e spirituali che operino all’interno delle aggregazioni politiche.Ho letto recentemente un’intervista all’Abbé Pierre, novantenne, che in riferimento alla pace in Palestina ha detto che ci vuole un miracolo e solo un miracolo. E mi viene in mente un’espressione del filosofo Heidegger che più in generale per la condizione umana disperata diceva “a meno che un dio venga a salvarci”. “Siamo davanti ad una situazione internazionale – ha detto Giovanni Paolo II – gravida di tensioni, a tratti incandescente. In alcuni punti del mondo dove lo scontro è più forte – penso in particolare alla martoriata terra di Cristo – si tocca con mano che a poco valgono i tentativi della politica, pur sempre necessari, se gli animi restano esacerbati e non si è capaci di un nuovo sguardo del cuore per riprendere con speranza i fili del dialogo”. La “realpolitik” sembra proprio fallita nel conflitto della Terra Santa, dove l’enorme sproporzione delle forze in campo delle due parti non riesce a decidere del conflitto, mentre il partito “realista” della guerra ad oltranza aumenta i suoi sostenitori da una parte e dall’altra. E’ per questo che forse il vero realista è l’utopista che prega e si impegna in un’azione immateriale, spirituale, apparentemente e a breve portata inutile. Un saggio cardinale francese, Danielou ha scritto a suo tempo “La preghiera problema politico”, indicando la valenza della preghiera nell’ambito della città degli uomini. Si potrebbe dire oggi “La politica problema spirituale”, volendo suggerire il ricorso a energie profonde dello spirito e il cammino di conversione del cuore umano. In questo senso – lo ricordiamo in questo numero de La Voce che esce il giorno della festa di S. Francesco d’Assisi – il Papa ha dedicato non pochi dei suoi sforzi, in tutto il suo pontificato a proporre il ricorso al dialogo tra le religioni, alla preghiera per la pace secondo quello che lui stesso ha definito lo “spirito di Assisi”, che è lo spirito di Francesco uomo di pace e di riconciliazione. Questo è il realismo del Papa, che significa riconoscere l’impotenza degli eserciti a costruire la pace e lo scacco della “realpolitik”. Pregando gli uomini e le donne che sono animate dalla fede potranno vincere quel senso di impotenza che li assale e far rinascere un filo di speranza.
Il realismo del Papa
AUTORE:
Elio Bromuri