L’Umbria è una delle regioni ‘virtuose’ che il Governo ha preso come riferimento per la definizione dei parametri sui costi standard della sanità pubblica, per evitare gli sprechi ripetutamente denunciati di medicinali e apparecchiature il cui prezzo, senza alcuna logica, varia da regione a regione anche in misura rilevante. Dunque un “modello di sanità pubblica” a livello nazionale, come più volte rivendicato con orgoglio dalla presidente Catiuscia Marini.
Un modello però con ancora gravi anomalie. Nei giorni scorsi si è appreso che i carabinieri del Nas, dopo due anni di indagini, hanno scoperto che in tutti gli ospedali pubblici dell’Umbria c’è la prassi, abbastanza diffusa da parte di medici, infermieri e personale socio-sanitario, di favorire parenti, conoscenti e ‘amici degli amici’ per prestazioni specialistiche in ambulatorio ed esami di laboratorio. Evitando loro le liste di attesa, talvolta troppo lunghe, dei cittadini ‘normali’ e senza pagare il ticket. Come? Attestando il falso, cioè che i soggetti sono stati ricoverati, e quindi hanno la precedenza per esami e visite.
In due anni di indagini i carabinieri hanno esaminato in 13 ospedali 220.000 cartelle cliniche. Accertamenti capillari in base ai quali le Procure della Repubblica di Perugia, Terni e Spoleto hanno indagato 800 persone per reati quali truffa ai danni dello Stato, falso in atto pubblico ed esercizio abusivo della professione medica. La posizione di 575 operatori della sanità pubblica è stata anche segnalata alla Corte dei conti per il recupero di un danno erariale che è stato calcolato in un milione e 200.000 euro.
Asl e aziende ospedaliere – hanno sottolineato i carabinieri – hanno collaborato nelle indagini. Si è appreso che sono già stati avviati procedimenti disciplinari che potrebbero portare alla sospensione dal lavoro di medici e infermieri, alcuni dei quali avrebbero già risarcito, per i ticket non pagati, somme fino a 3-4.000 euro.
La presidente Marini, che ha anche la delega per la sanità, ha detto che la Regione si costituirà parte civile perché “ogni euro sottratto indebitamente alla spesa sanitaria è un euro in meno per la sanità pubblica e quindi per i cittadini”. Ha anche annunciato che nelle prossime settimane verrà varato un “piano straordinario” per eliminare le liste di attesa troppo lunghe.
Una promessa accolta con un certo scetticismo dai sindacati, in particolare dalla Cgil, la quale ricorda che la stessa promessa era stata fatta nel 2010 dall’allora assessore alla sanità Vincenzo Riommi. Promessa alla quale non sono seguiti risultati apprezzabili. È quindi umanamente comprensibile l’operato del malato che, dovendo aspettare mesi per un esame, chiede ‘aiuto’ al medico o all’infermiere. Ed è quindi anche comprensibile il comportamento di chi, magari per aiutare il paziente che non ha soldi per pagare il ticket o non può permettersi di aspettare tanto per un esame o una visita specialistica, cerca in buona fede una soluzione nei meandri della burocrazia.
Ma è davvero così? Il numero degli indagati (800 in 13 ospedali) e i loro comportamenti – così come descritti dagli inquirenti che parlano di “costante e consolidato malcostume” – fanno venire molti dubbi. Anche lo scenario della sanità è infatti quello a tutti noto di una macchina pubblica complessa e non sempre efficiente, dove il cittadino troppe volte è costretto a chiedere per favore quello che gli spetterebbe per diritto. Facendo così, diventare “normale” un mondo dove hanno buon gioco “furbetti” e raccomandati. Che ti passano avanti anche quando devi fare l’esame del sangue.
Consoliamoci comunque con il fatto che almeno in Umbria c’è chi controlla, affinché questo non avvenga più. Con carabinieri e magistratura che vigilano, e con la Regione che promette di volere risolvere i problemi evidenziati dall’indagine. Che sia la volta buona perché il sistema della sanità pubblica dell’Umbria sia un “modello” a livello nazionale non solo per i costi ma anche per efficienza e qualità dei servizi, senza bisogno di scambi di favori e raccomandazioni.
Che cosa è saltato fuori dalle indagini dei Nas
Per gli investigatori, guidati dal capitano Marco Vetrulli, quello individuato era “un costante e consolidato malcostume”. Dagli accertamenti dei carabinieri – si legge in un comunicato del Nas – è emerso che “i sanitari prescrivevano esami ematochimici a se stessi, genitori, figli, fratelli, suoceri e zii registrandoli nel sistema informatico come ricoverati, e facendo ottenere prestazioni sanitarie senza dover corrispondere il ticket”.
In certi casi sarebbero stati gli infermieri a firmare la richiesta invece dei medici. In altri casi si sarebbero falsificate le firme. Con ingenti danni economici alle Aziende ospedaliere e alle Asl, e un “ingiusto profitto” per i destinatari delle prestazioni specialistiche. L’ indagine – sottolineano ancora i carabinieri – ha consentito alle sei Direzioni generali delle Aziende ospedaliere e sanitarie locali, “che hanno collaborato fattivamente”, di apportare modifiche alle procedure di erogazione delle prestazioni per rendere più sicuro il sistema, di avviare i recuperi delle quote di compartecipazione alla spesa sanitaria per le prestazioni irregolari erogate, nonché di avviare procedimenti disciplinari a carico degli indagati.